venerdì 17 agosto 2012

Un nuovo motivo-Cap V- (FINE)

Capitolo finito. Un nuovo personaggio (molto particolare). Ora inizia il bello.
E' passato un po' di tempo dall'ultimo post.
Ci metto quello che mi serve, ma non smetto.
Non smetterò mai, credo.

Un nuovo motivo -CapV -FINE



C'era qualcosa negli occhi di quell'uomo che turbò tutti e tre lasciandoli senza una parola buona con la quale rispondergli.
Era la posa, la garza sporca, la barba incolta, ma erano gli occhi, gli occhi sopra ogni cosa. Erano verde chiaro, ma in qualche modo «spenti», come se qualcuno gli avesse invertito l'interruttore e invece di riflettere la luce, la assorbissero.
Più che spenti sembravano proprio funzionare al contrario.
Ebbero la sensazione condivisa di venire risucchiati assieme al giorno, e alla stanza, a Stefano e tutto il vuoto che li circondava.
Erano gli occhi di un uomo che non aveva nulla da perdere, non gli importava di perderlo, e comunque se l'avesse fatto avrebbe attratto e portato con lui quanto più possibile di quello che aveva intorno.
«Vabbè, se avete finito di guardarvi l'uno con l'altro come tre ebeti, decidetevi a dirmi se si va, o se volete rimanere a guardare il vostro amico fino a quando non crepa o non si sveglia. Per me non cambia niente, so io che vi starei a fa un favore» sembrava non emanare nessuna emozione mentre lo diceva.
Luna gli si avvicinò, erano petto a petto, lo guardava da venti centimetri più in basso, ma dalla sua aveva così tanta forza e tempo perso che riuscì a rimandare indietro tutto il vuoto che partiva da Remo.
«Va bene verme. Vuoi provare a fare il buon samaritano, a mettere una pezza a tutte le infamate che devi aver fatto nella tua vita con un grande gesto? Dammi le chiavi della macchina, il portafogli, il telefono, tutto. Sia chiaro da subito: non sei tu che fai un piacere a me, sono io che lo faccio a te. Se non ti sta bene fatti arrestare subito, sarebbe quello che ti meriti».
Remo sbuffò e rise di gusto «Ahahah brava, si vede che anche tu non hai niente da perdere, brava davvero, lo spirito è quello giusto. Ho tutto in stanza, mi cambio e te lo porto», detto questo uscì scomparendo così come era entrato.
Durante l'assenza Antonello provò a dissuadere Luna «A Lù ma che stai a fa? Te sei impazzita? Quello è matto, è pericoloso! Che ne sai che può fare quando state da soli?! Io non sto tranquillo».
Il Bianco stava in silenzio a guardare Stefano, non ascoltava, assente.
«Se non stai tranquillo ti potevi far sentire durante quest'anno» gridò incazzata «invece di fare la parte dell'amico ferito e abbandonato. Oppure mi vuoi dare il tuo motorino subito, eh, che dici?».
In quel momento tornò Remo, indossava un paio di jeans larghi e una camicia a righe marrone aperta fino al petto che lasciava intravedere una catena con un grosso crocefisso d'oro, delle infradito ai piedi.
«Bè, che si fa? Si va?»
«Certo che si va. Dammi le chiavi, t'ho detto che guido io. E voi due badate a Stefano e non fate danni. Dovete fare solo quello che vi riesce meglio: niente.
Il primo che ha una novità aggiorna l'altro...
Scusate se sono così dura, ma è un momento difficile... Mi ha fatto davvero piacere rivedervi. A Presto»
Un attimo dopo erano dentro l'Alfa 167 verde smeraldo con gli interni in pelle di Remo, Luna mise in moto ed il motore rombò con un rumore potente ed anni ottanta.
«Guarda che c'ho pure il navigatore, visto che sai l'indirizzo ci dovremmo mettere un'attimo»
«Stai zitto. Non mi pare di averti detto che potevi parlare... Ma come diavolo si mette la prima...»
«Se spingi leggera la frizione e...»
«Zitto t'ho detto! Devo prima passare a casa mia, e di Stefano»
Luna percorse le poche centinaia di metri che separavano il policlinico da casa sua a grande velocità. Fino a quel momento aveva sempre avuto paura di guidare per Roma; ne aveva avuto poche occasioni ed inoltre le mancavano parecchi gradi a tutti e due gli occhi, tant'è che anche con le lenti a contatto aveva serie difficoltà a leggere i tabelloni con gli orari dei treni (un paio di volte le era capitato di perderli per questo motivo). Eppure arrivò di fronte al cancello di ferro di casa sua inchiodando di botto di fronte alla pensilina del bus 492, ostruendone il passaggio. Tolse le chiavi dal quadro, si lanciò fuori, lasciò Remo a cuocersi al sole come un cane lasciato in macchina dai padroni ed ignorò del tutto il portiere che cercava di salutarla con falsa giovialità. Tornò veloce così come era andata, portando con se una specie di trasportino coperto da un telo bianco. Lo pose con cura sul sedile posteriore bloccandolo con le cinture di sicurezza e ripartì sgommando dopo aver inserito l'indirizzo di destinazione nel navigatore.
Un paio di chilometri dopo avere imboccato la tangenziale, Remo provò a dire «E in quella gabbia cosa ci sarebbe? Il tuo gatto non poteva fare a meno di te per un giorno?»
«Perchè?» rispose pungente Luna «vorresti macinare pure lui?»
«Non dirlo nemmeno per scherzo. I gatti per me sono importanti, sacri»
«Ma smettila» sbuffò sarcastica «non credo che una persona come te conosca davvero il significato di 'sacro', di qualcosa da proteggere con tutto il cuore.
E comunque non è mio. L'ho trovato, trovata, vicino a Stefano sul luogo dell'incidente. Se riesci a trattenere i tuoi istinti omicidi puoi togliere il telo e guardare».
Remo si voltò e scansò il telo pieno di curiosità, come un bambino che abbia ricevuto il pacchetto misterioso di un regalo inaspettato.
Dal profondo di due occhi piccolissimi e perfettamente tranquilli, una gallina lo guardava non tradendo il benché minimo gesto di nervosismo, pareva quasi se lo aspettasse.
Remo rimase a guardarla ipnotizzato sei o sette secondi, poi tornò a sedersi sul sedile anteriore, rimase perplesso, si girò di nuovo spostando nuovamente il telo, l'animale era sempre lì, lo fissava. Si girò a guardare dritto il panorama davanti a se per qualche altro secondo, poi guardò Luna, si voltò di nuovo verso la gabbia, poi di nuovo verso Luna e poi dritto. Era senza parole, come un bambino che scartato il regalo misterioso non sia riuscito a capire bene che razza di oggetto abbia ricevuto.
«Ma è davvero...», Luna lo interruppe;
«Certo che è una gallina. Non so che ci facesse Stefano. Stava vicino a lui senza muoversi quando sono arrivata all'incrocio dell'incidente. Ma è certo che se aveva solo lei con se deve essere importante. Può essere utile capire da dove viene. A casa non ce la lascio. E comunque non chiamarla 'gallina', ha una targhetta con un nome suo al collo... 'Nana'»
Remo si limitò a ripetere imbambolato «Nana... ho capito».
Stettero in silenzio da quel momento, Luna guidò nervosa fino a quando il navigatore non iniziò a dirottarli chilometri dopo, per stradine di campagna cominciando a ripetere senza fine «Ricalcolo, ricalcolo, ricalcolo».
Remo staccò con rabbia il navigatore e lo buttò dal finestrino «Tanto da qui in poi è inutile, l'aveva detto il tuo amico».
Luna chiese a chiunque incontrava per le vie sterrate e semi deserte come si arrivasse a Via di Campo Verde a Roccacencia ; bambini in calzoncini corti con bastoni fra le mani, un contadino rugoso in trattore, due vecchie con uno scialle nero in testa e buste piene di ortiche.
Quando finalmente riuscirono a trovare la via, scritta a mano su un cartello di legno, erano ormai le undici di sera passate. Eppure nel buio assoluto, senza un lampione della campagna, gli sembrò di vedere una grande quantità di luci e di sentire un frastuono incredibile, proprio lì vicino a loro.