martedì 28 maggio 2013

Mai fermarsi. Nemmeno quando ci si sente a posto e di potersi fermare. Don't stop me now.

continuo...
La scena che si mostrò ai suoi occhi non differiva in sostanza da quella del piano inferiore,  cambiava l'apparenza: invece di ragazzi con la camicia aperta fino al terzo bottone e improbabili collane di metallo e ragazze con minigonne di strass e camicie aperte fino al terzo bottone, i ragazzi indossavano t-shirt con il simbolo dell'anarchia, Che-Guevara, Sex Pistols, e le ragazze canotte di ogni colore e gonne lunghe sino alle caviglie che raccontavano di un'India made in China. L'anima pulsante però era la stessa: corpi stretti, legati, ammassati uno sull'altro in cerca di evasione, divertimento, sesso, ribellione, di qualcosa che non tutti avrebbero saputo dire. Stefano si sentiva spaesato, la vista offuscata che andava e veniva in sincro con le luci stroboscopiche. Di colpo si sentì mancare le forze, come quando una volta d'estate stava andando a lavoro dopo una brutta febbre sulla quale aveva bevuto, e nel vagone della metro A, schiacciato dalla gente, iniziò a sudare freddo e collassò senza preavviso. Quella volta Luna era con lui. Si appoggiò con la schiena al muro e si lasciò scivolare verso il pavimento fino a sedersi. L'alcool, o quello che c'era dentro, stava decisamente facendo effetto. Senza volerlo, nello sforzo per non chiudere gli occhi e perdere conoscenza, si fissò su un punto. Lo stesso punto nel quale stava ballando una ragazza. Cercò di metterla a fuoco. Era una ragazza abbastanza normale: capelli lunghetti tenuti all'indietro da una fascia, occhiali da vista non troppo ricercati, naso leggermente a patata, maglia bianche a maniche lunghe, pantaloni a zampa. Però si accorse che in un quadro così comune, ordinato, quasi rassicurante nella sua spogliatezza c'era una cosa terribilmente fuori posto: ballava da sola. Ballava dasola e si guardava intorno in cerca di qualcosa, un segno, qualcuno che si accorgesse che c'era anche lei. Nella mente impastata dal cocktail, Stefano non sapeva se provare tenerezza o rabbia per quella ragazza. Se essere triste perché nessuno se la filava, o incazzarsi perché anche lei cadeva nel giochetto di dover per forza trovare qualcuno da filare in quel posto che tutto sembrava tranne il luogo adatto per stringere rapporti umani e mostrarsi un po' senza doversi esibire. Ne avesse avuto la forza, fosse stato ancora un ragazzo sicuro delle cose in cui crede, della propria casa, lavoro, amore; si sarebbe alzato, le sarebbe andato vicino e le avrebbe urlato nelle orecchie «Che cazzo ci fai qui? Che stai cercando? Ma non lo vedi che non è il posto per te, che fai il loro gioco? Lasciali stare, vattene, fuggi prima di diventare come loro!».
«Già, ma loro chi?» pensò, «E chi cazzo mi credo di essere io, seduto nell'inutilità totale a pensare ai problemi degli altri quando non riesco nemmeno a sfiorare i miei. D'altra parte qual'è il punto? Che questa vuole soltanto qualcuno che la scopi così si sentirà più carina e per una notte dimenticherà le sue insicurezze? Che società di merda abbiamo tirato su. La società dell'apparenza, del mio uccello è più grande del tuo, del niente. Siamo pieni di niente. Non m'importa. Che si facesse fottere, che si fotta...!»
Mente si perdeva nel suo monologo alcolico guardava nel vuoto, come i gatti quando si fissano a guardare qualcosa che riescono solo loro, soltanto che lo sguardo era ancora rivolto alla ragazza. La musica era cambiata, un remix più frenetico e veloce di 'We will rock you' dei Queen. Si ritrovò sovrastato da una figura che lo osservava in piedi, dall'alto. Con gli occhi socchiusi alzò a fatica la testa per guardare chi fosse. Era una ragazzo imponente, rasato, grande. Un piercing alle narici, qualche crosta sulla fronte. Gli sembrava un fascista ma più probabilmente era un punkabbestia, solo che senza un cane appresso gli faceva strano.
«Che cazzo c'hai da guardare così la mia amica?!»
Stefano chiuse un occhio, cercò di concentrare la poca energia rimasta in uno solo. Prima di rispondergli aveva già ben chiaro che quello cercava rogna e che l'avrebbe pestato a sangue senza pensarci due volte, e forse in quel momento lui cercava proprio quello.
Aprì la bocca facendo uscire piano le parole, cercando di scandirle bene
«Ah si eh... E' amica tua... Non mi sembrava... E' un'amicizia di lunga data, vero? E poi che è? Vietato guardare sennò il punkabbestia si incazza?»
«Oh ma guarda questo! Adesso giuro che ti sfondo! Che cazzo te ne frega a te se la conosco da dieci anni o l'ho conosciuta stasera?!»
Stefano continuava a guardarlo con un occhio solo, si sentiva un pirata che sfida la grande tempesta per conto suo, come il gatto che aveva da bambino.
«Bè, bell'amico però. Proprio bravo che la lasci da sola come una cretina mentre ti vai a calare di acidi con gli amici tuoi. Bella merda!»
L'altro non rispose, stava già facendo scattare la gamba per piantare l'anfibio dritto nei denti di Stefano. Probabilmente quelli davanti glieli avrebbe fatti saltare tutti. Invece ci fu un rumore di bottiglia che va in pezzi e il tonfo del punkabbestia che cadeva per terra.
Si sentì afferrare il polso, «Dai scemo, alzati, muoviti!Sennò qui ci ammazzano tutti e due!»