martedì 9 ottobre 2012

Su Tokyo e sull'Italia (di getto, e riflettuto)

Su Tokyo e sull'Italia (di getto, e riflettuto)

La cosa che m'ha sempre terrorizzato di Tokyo (che ho realizzato soltanto dopo essere tornato da un breve soggiorno in Italia) è la sua mancanza di tempo.

Non di un tempo materiale (se un tempo materiale possa mai esistere), ma la totale privazione di riferimenti passati e futuri. In un città dove tutti si legano l'orologio al polso e l'arrivo di ogni treno è regolato al secondo (mai sperare nei ritardi, a Tokyo), c'è un solo tempo valido sempre, che pende come un imperativo sulle nostre teste: il presente.
In un'Italia come quella di oggi, quella che si legge sui giornali almeno, il futuro è una cosa difficile da dire. L'italiano, quello buono (e sono pochi) è intelligente e passionale, dategli un'idea, rendetela ideale e dedizione; solleverà il mondo, lo scaraventerà oltre la crisi, le olgette, le partite di pallone.
Salterà come un grillo superando tutto e portandoci con lui.
Qui ci invidiano per Leonardo, Rossini, Caravaggio, ma ai tempi non ero nemmeno un prototipo di vita per i miei genitori, e in tempi più recenti ho piacere, e traggo forza, a ricordare Fellini, Pasolini, Giolitti, Falcone e Borsellino.
Persone che avevano tratto l'ideale da un'idea.
Però persone così nascono a caso, non c'entrano i tempi, le guerre, i natali, Berlusconi; o meglio, c'entra tutto e non c'entra niente, è un'insieme di coincidenze estremamente fortunate. Quello che sarà di noi (voi?) non si può predire.
Il futuro di Tokyo invece lo vedo chiaro e netto ogni volta che guarda i tabelloni luminosi di Shibuya, l'incrocio più famoso al mondo, acceso 24h su 24.

E' un presente stirato all'indietro e dilaniato in avanti, senza fine.

Questo posto non ha storia, è giovane, giovane come un diciottenne che brucia dentro, e brucia chi è accanto a lui perché è forte, e bello, e non vede il limite delle sue reali possibilità. Tokyo s'è bruciata, e sta bruciando, per potenza e strafottenza.
E' un'isola nell'isola. Un vampiro che si nutre dei suoi abitanti, altri vampiri (più deboli e inconsapevoli) che si nutrono di lei.
Chiedetelo ai gaijin (stranieri) che abitano qui, a chi prova a campare davvero con le proprie sole forze, che discorso assurdo sia la programmazione del futuro prossimo, del giorno dopo, della serata; ciò che conta è il presente.
Chiedetelo ai salary man ( impiegati), cuochi, insegnanti, avvolti da giorni tutti uguali, dissolti e disintegrati in una ripetività che porta ad amanti, prostitute, suicidi, e a volte, a prospettive che ti cambiano la vita.
La grandezza  di Tokyo si erge sullo stoicismo di chi la vive, e il benessere di chi la abita sulla città stessa.

Che non pensa, non incontra, non crea niente, se non per l'ora, l'adesso immantinente.
Tokyo, come le formiche, non dorme mai.




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