07-04-20xx
Perché
non hai colto i quadrifogli con me?
E' una
cosa semplice, all'apparenza può sembrare anche infantile, immatura.
Però
non te ne importava, e nemmeno a me.
Non ci
importava, no no, ho sbagliato il tempo; spero importa, di fare cose
semplici o immature.
Che poi
che è semplice lo dici solo tu. Prima di tutto dobbiamo trovare il
tempo di incontrarci, poi cambiare tre bus per lasciarci tutti i
palazzi alle spalle. Dobbiamo trovare un posto tranquillo dove non ci
siano troppe persone e dal quale si possa vedere il lago e le anatre.
Ah, e naturalmente deve essere e mezza via tra il sole e l'ombra per
non moririci di freddo e nemmeno di caldo. Poi, finalmente, possiamo
sfidarci a chi trova più quadrifogli. E baciarci. Per ognuno che
portiamo all'altra, un bacio. Ci regaliamo delle cose a vicenda senza
spendere niente, mi piace tanto. E ti ricordi quella domenica di
qualche mese fa, quando era pieno di gente meglio vestita di noi che
non ci lasciava cercare bene e tu non ne hai trovato nessuno? Ti sei
arrabbiato ed hai iniziato ad urlargli contro che era meglio che si
andassero a chiudere dentro un centro commerciale, perché noi
eravamo impegnati ad innamorarci e il loro essere gente perbene
disturbava noi e calpestava i quadrifogli. Mi hai fatto ridere. Ti ho
dato dieci baci anche se non c'era bisogno di arrabbiarti e non avevi
trovato nessun quadrifoglio.
Stefano,
lo sai che i quadrifogli sono una scusa, e che allontanarci dalla
città non è un fuga. E' il nostro antidoto alle vie del centro,
alle marche sui cartelloni pubblicitari. Il nostro siero contro le
persone famose, contro il ciclo fare-per-comprare. E' il nostro
elisir di baci.
E'
bellissimo quando ci sdraiamo sfiniti di troppi trifogli e ci diciamo
in faccia quello che faremo fra qualche tempo, quando ci accorgeremo
di quello che vorremo fare.
A me
non pare semplice. Secondo me essere così non è semplice. Sarebbe
più facile imprigionarci anche noi in un centro commerciale per
guardare quello che è di moda, comprarcelo a rate e finirlo di
pagare quando anche la moda sarà finita.
Allora
spiegami perché l'ultima volta i quadrifogli non li hai voluti
cogliere e te ne sei rimasto due ore seduto sul prato ad ubriacarti
di birra, senza dire niente.
27-04-20xx
Bella
mia, ti scrivo dopo un po' di tempo.
Mi è
servito per capire come mi girava in quel periodo. Ho dovuto
metabolizzare bene e trovare le parole adatte per spiegarti come
voglio. Spero tu non sia troppo arrabbiata con me e mi voglia
perdonare. Lo so che parlavi in modo sincero e che le tue parole sono
partite tutte dal profondo del cuore. Però i tuoi discorsi poggiano
tutti su terreni metafisici. Mi parli di amore, di pensieri, di due
anime, le nostre, unite contro l'impero del quieto vivere e del
consumismo. Lo sai che la penso come te, però fermarsi a quello è
ingiusto. E' ingiusto se non contestualizzi e riporti tutto al
periodo in cui è avvenuto. Lo so che avresti voluto rimanere ferma
nel nostro mondo d' amore, anche io, ma il mondo se ne frega e
continua a girare. Nelle specifico il periodo, il giorno in cui ho
smesso di cogliere quadrifogli ed iniziato a bere, girava in un modo
di merda.
Me lo
ricordo bene, era fine marzo, un paio di giorni prima del tuo
compleanno.
Sai che
riesco ancora a ricordarmi le scene di quella mattina come se fosse
un film?
Davvero,
riesco a vedermi camminare dal di fuori come stessi osservando
qualcun altro o qualcosa che non appartiene a me. Penso sia normale
averlo ancora così nitido nella mente ora, ma...
… ci
ho messo comunque qualche tempo per recuperare tutto e sostituirlo ai
buchi di memoria che ho avuto. Qualcuno ce l'ho ancora.
Comunque,
per il tuo compleanno non hai mai voluto niente. Dicevi che se un
giorno non è ben speso, allora ogni momento vale un altro. Per
questo andavamo sempre a vedere un posto nuovo per festeggiare:
legando quel giorno a quel posto avremmo costruito un ricordo nuovo.
Non ho mai capito fino in fondo cos'è che volevi dire: anche andando
a cena fuori credo lo avremmo creato, il ricordo. L'ultima volta
avrei voluto regalarti una cosa diversa: al parco mi avevi parlato di
tutti i 45 giri che avevi trovato nello scantinato di tuo nonno, una
collezione grandissima di cantanti italiani, e di come avresti voluto
poterli ascoltare per capire che tipo fosse tuo nonno; sentirti un
po' come si sentiva lui a venti anni quando li ascoltava, far finta
insieme un pomeriggio di essere una giovane coppia degli anni 60 che
passava un pomeriggio ad ascoltare vinili di nascosto dai genitori.
L'avevo
trovata un'idea bellissima.
Mi
ricordo bene il sole che c'era la mattina che sono uscito a cercarti
il giradischi d'epoca, di come ti scaldava quando non eri nelle zone
d'ombra, e di come il freddo della tramontana ti penetrasse fin
dentro lo stomaco quando c'eri. Mi ricordo di aver girato fino a
mezzogiorno e mezza, quattro negozi di musica prima di imbroccare
quello buono. Di come avessi parlato intimamente col proprietario del
regalo che volevo farti, della commozione di poter realizzare il tuo
desiderio (inespresso naturalmente, come tutti i tuoi riguardanti le
cose materiali); lo avrei fatto sapere anche al conducente del 175
quanto ero felice in quel momento “Oh conducente, oggi ho comprato
un giradischi d'epoca alla mia ragazza per ascoltare insieme musica
anni 60 e far finta di essere ancora in quegli anni. Ma il traffico
non pare un po' meno brutto pure a te oggi?”
Mi
ricordo il prezzo che mi ha detto. Di sbrigarmi a prenderlo perché
anche un vecchio era venuto a vederlo qualche giorno prima e aveva
detto che lo avrebbe comprato appena presa la pensione.
“Non
ci credo, lo dici solo per mettermi fretta” gli ho detto, e lui “No
ti giuro. Poi a me non mi frega, a chi lo vendo lo vendo. Però sarei
più contento di darlo a te. Quello capace che se lo compra e dopo
du' giorni schiatta”.
Avrei
voluto prenderlo subito, ma non avevo tutti quei soldi.
Mi è
scoppiato il mal di testa quando sono uscito dicendogli di tenermelo
almeno fino a quando il vecchio non fosse ritornato.
Non era
colpa mia ma non potevo farci niente. Sia per il giradischi che per
il mal di testa, non potevo farci niente.
Se ero
uno studente di 22 anni e non avevo lavoro non era certo colpa mia,
ne sono convinto, almeno in parte.
Quando
sono uscito faceva più freddo, o così mi ricordo perché la
tramontana oltre che dallo stomaco mi entrava pure dalle orecchie. Ho
pensato che l'unica soluzione poteva essere chiedere una mano a mio
padre. Certo non era proprio il momento migliore visto che aveva dato
fondo a tutti i soldi dell'assicurazione per aprire il bar dopo che
mia madre era morta nell'incidente.
Forse
era stata una follia, ma non mi ero sentito di biasimarlo. Forse
buttarsi in un cosa nuova senza avere niente a proteggerlo lo faceva
sentire più libero dopo aver perso la cosa più importante per lui.
E poi
era proprio bello. Papà è un po' una bestia, selvaggio, con quella
barba nera e le poche parole mi è sempre sembrato un diavolo dei
boschi. Non so se gli sia venuto naturale o abbia dovuto raschiare
ogni frammento di sensibilità che mia madre gli aveva lasciato
addosso. Ma alla fine era riuscito a farlo come lo avrebbe fatto lei.
C'era mia madre in quel bar, nei tavoli nuovi di noce sbiancata,
nelle palme Areca discrete agli angoli, nei quadri dell'avanguardia
russa e spagnola appesi ai muri, nella voce rotta dall'alcool di De
Andrè e Brassens che usciva dalle casse.
Nella
disposizione della macchina del caffè, tazze, bottiglie, tutto si
integrava in un unico tipo di natura, tutto si voleva sposare
all'altro. Eppure durante il primo mese le cose non stavano andando
bene, per niente. Ed io ancora non ti so descrivere bene la rabbia,
tristezza, senso d'inadeguatezza che m'ha preso quando sono arrivato
e dalle vetrine ho visto mio padre in piedi, immobile col suo
grembiule nero davanti alla cassa, al bar vuoto. Dopo tutti i suoi
sforzi, e la mamma, e il giradischi, cazzo il giradischi. Poi tutto
si è mischiato al mal di testa, m'ha rotto la mente e al suo posto
c'ha lasciato un vuoto. Non riuscivo a pensare a niente. Quando t'ho
raggiunto questo vuoto m'aveva già quasi mangiato tutto da dentro.
Ho bevuto tanto per tentare di colmarlo.
Ecco...
Ti ho risposto e ti ho spiegato.
Mi
perdoni?
01-07-20xx
Stè,
ti continuo a scrivere perché al momento è l'unico modo che ho per
mettermi in contatto con te, col tuo vero te. Visto che quando siamo
insieme non mi ascolti più, spero almeno tu mi legga quando non lo
siamo.
Spiegami
che cosa sta succedendo, perché non lo capisco, spiegamelo perché
sono triste. Lo so che è difficile trovare lavoro mentre si studia e
che il bar di tuo padre non se la sta passando bene. Però non sono
buoni motivi per cadere a pezzi. Lo sarebbero, forse, se non ci
avessimo l'una con l'altra, però ci siamo, no? Quando uno dei due
sta male non può cadere, perché quando inizia ad inclinarsi e a
franare verso terra, subito accanto c'è l'altra che lo sostiene, lo
tiene in piedi fino a quando non sta meglio e può reggersi da solo.
Non dire che sono la solita romantica, non è un fatto d'amore
questo, è fisica. Se due oggetti sono posti uno accanto all'altro ed
uno dei due comincia ad inclinarsi da un lato (possibilmente quello
giusto), se il corpo che gli è accanto riesce ad opporre una forza
uguale e contraria lo tiene in piedi, sennò cadono entrambi. Al
liceo te l'avevo fatto capire spiegandoti che la terra e la luna si
attraggono e respingono con la stessa forza, se uno dei due ci
mettesse troppa forza attirerebbe l'altro nella sua orbita ed
esploderebbero entrambi. Vorrei non esplodessimo.
Lo so
che è difficile, lo è per tutti. Però devi guardare le cose
positive che ci sono: certo non puoi permetterti grandi spese in
questo momento, ma ti servono? Hai una casa, puoi mangiare tutti i
giorni, coltivare i tuoi sogni, costruirti la tua strada lunga e
luminosa. Hai me.
Fino a
qualche settimana fa avevamo anche questo parco tutto per noi.
Il lago
era nostro quando ci facevamo lunghe passeggiate intorno e ci
riflettevamo sulla superficie col bel tempo, le papere e le anatre
erano nostre quando passavamo mezz'ore a guardarle andare giù e poi
riemergere dopo qualche angosciato secondo di troppo dalla parte
opposta.
I
visoni, le volpi, tutte le bestie morte che stavano appese alle
signore bene nel caldo di aprile erano nostre quando le guardavamo e
le facevamo le boccacce. In tutte queste cose noi ci appartenevamo.
Non tu a me ed io a te, ognuno a se stesso. Eravamo esclusiva
proprietà di noi stessi.
Ti
scrivo questo perché vorrei tornassi ad appartenerti. Perché quando
non ascolti e sei perso nei fantasmi delle tue fantasie, o
semplicemente perché sei ubriaco, non sei tuo, sei tuo schiavo.
E
sopratutto, davvero, la cosa più importante, non fare mai
maimaimaimaimaipiù come la sabato scorso. Perché hai iniziato a
tirare pietre alle anatre? Credo che ad una tu abbia spezzato un'ala.
Avresti potuto ucciderla, ed ho paura che tu lo sappia.
L'ho
detto... ho paura. Smettila e amiamoci e basta.
Ps. Non
m'importa non sia stato un bel compleanno. Torna indietro e
facciamone un altro.
09-07-20xx
Ero
arrabbiato. Ero arrabbiato perché non avevo potuto comprarti il
giradischi; per questo ho preso a sassate le anatre. Ti ho raggiunto
al parco e tu eri sotto il sole con un cappello di tela beige, una
roba da mercatino. Però ci avevi messo qualche margherita che avevi
colto poco prima, sorridevi. A ripensarci eri proprio semplice. Una
bellezza semplice, senza roba inutile.
Eri una
vista incredibile. Un deserto.
Cristo
come mi ha fatto incazzare vederti così bella e sapere di non
poterti dare quello che io avrei voluto. Di non poterti dare il
giradischi per sentire i 45giri di tuo nonno, non poterti portare a
cena fuori, non poterti offrire un cono gelato gigantesco solo per
sporcarti il naso di panna e ridere insieme.
Tu
stavi lì, bellissima e sorridente, ed io non avevo niente.
Lo so,
lo so che mi diresti che quello che volevi ce l'avevo già, che era
dentro di me.
Però
cazzo, la vita è più complessa, non siamo fatti di materia eterea,
siamo di carne e ossa. Carne che respira, si nutre, desidera. Il
punto della vita, il centro preciso ed esatto non è proprio
realizzare i propri desideri prima che finisca lei? Non è questa la
vera libertà? Non è finire quello che vogliamo prima di morire? E
io questa libertà non ce l'avevo. Volevo esaudire tutti i tuoi
desideri. Volevo esaudire il MIO desiderio di esaudire i tuoi
inespressi.
Invece
noi stavamo fermi. Fermi davanti al lago a vedere passare le papere e
le anatre.
A
vederle nuotare in acqua senza problemi, senza pensieri, senza cose
da dover fare se non quelle che le dettavano l'istinto. Ho provato
una gran rabbia.
Perché
non devono pagare l'affitto del lago? Perché non devono comprare
quello che mangiano? Perché non hanno ricordi da dover dimenticare?
Più ci
penso e più mi sembra di essere risucchiato in un buco nero, un buco
nero che nasce da dentro di me, che parte dalle budella e mi rivolta
dall'interno, mi gira come un guanto e mette la pelle al posto delle
ossa e le ossa al posto della pelle e ho i capelli dentro la testa e
mi pizzicano tutti come mille spilli e il cervello fuori a contatto
con l'aria mi duole e questo buco nero succhia e succhia sempre più
forte fino al centro e tutto mi tira tutto mi fa male sono
inghiottito da me stesso e non so che fare. E le papere, le maledette
papere non pensano a niente, perché perché perché perché perché?
No. No
no scusa lascia stare, è stato solo un attimo. Mi sentivo davvero
così ma è passato. E' stato tempo fa, adesso sono più leggero.
Però
cerca di capire, il bar di mio padre aveva chiuso, non riuscivo a
dare esami, non avevo trovato lavoro nemmeno per dare i giornali
fuori dalla metro, e sta cazzo di crisi che pare abbia fermato il
mondo, i miei amici che piangevano miseria e nel frattempo uno s'era
fatto la Dacia nuova con i soldi della pensione del padre, l'altro
s'era comprato la Playstation anche se erano tre mesi che non
lavorava. E io manco un giradischi usato ti sono riuscito a comprare.
Non mi riesce niente. Mi sento un peso per te. Mi sento come se tu
sognassi anche per me, perché a me ormai non riesce nemmeno quello.
Ma
adesso, adesso ho capito, devo starti vicino, lo devo fare perché tu
lo fai. E se ci stiamo vicini non ci possiamo perdere, non possiamo
perdere la strada anche se non prendiamo quella giusta. Non possiamo
perdere e basta. Non ho ragione? E' in momenti come questi che
dobbiamo stringerci. Nei momenti che cambiano tutto il nostro piccolo
mondo, noi dobbiamo rimanere uguali.
Conservare
le immagini che abbiamo di te e di me.
Per
sempre.
Ps. Per
favore, rispondi.
11-10-20xx
Sai
qual'è stata al liceo la cosa che mi ha fatto interessare a te? Il
minidisc...
In quel
periodo tutti avevano iniziato ad ascoltare i primi lettori mp3 della
Sony o della Creative (nessuno immaginava ancora la bomba atomica
culturale che sarebbe stata la Apple per i giovani, e d'altronde
quasi nessuno sapeva cos'era o cosa facesse... Come cambiano le
cose...)
Tu te
ne venivi in classe sempre con le cuffie infilate nelle orecchie e la
musica dei Bluvertigo e dei Doors sparata al massimo. Gli altri
compagni ti prendevano in giro: i Doors erano passati di moda da
troppo tempo, e i Bluvertigo non lo sono mai stati, in più usavi
quell'affare strano per ascoltarli, eri un personaggio. Un giorno,
durante l'intervallo, tu stavi con la guancia appoggiata sul banco e
gli occhi chiusi, la musica ovattata che ti usciva dalle orecchie si
impastava alla risa delle ragazze in seconda fila (io stavo in
penultima), alle voci scoordinate dei ragazzi che giocavano a
calcetto col cancellino. Ma era un'immagine troppo eterogenea perché
si amalgamasse davvero, non sembravi far parte della stessa realtà:
eri come protetto da una nuvola densa e trasparente che partiva dagli
auricolari e ti avvolgeva come una placenta.
Per un
attimo mi sembrò che dove eri seduto tu, il tuo corpo, il banco, la
sedia, tutto fosse un'immagine ritagliata da un'altra realtà ed
appiccicata alla bene e meglio nella nostra. O forse eravamo noi ad
essere stati ritagliati ed appiccicati con la saliva sulla tua.
Mentre l'intervallo proseguiva disordinato, smisi di parlare con le
mie amiche ed attraversai la nuvola.
Ti
battei due colpi sulla spalla, ti girasti dall'altra parte emettendo
una specie di grugnito. Te ne diedi altri due e tu senza girarti,
con la faccia rivolta verso la finestra mi dissi (più o meno, è
passato tanto tempo) “Ma che vuoi? Lasciami dormire”.
Non mi
perdei d'animo e continuai a picchiettarti la spalla con un ritmo
fastidioso, volevo sapere, capire perché ascoltassi un aggeggio così
strano e diverso da quello degli altri.
Alla
fine riuscii a farti voltare. Avevi ancora le cuffie e mi guardavi
con un occhio aperto e uno chiuso, la faccia contorta in
un'espressione di attesa indesiderata. Non dicevi niente, io nemmeno,
mi guardavi e basta, aspettavi, io pure. Stavi per rimetterti con il
viso contro il muro quando presi coraggio e ti chiesi “Com'è che
si chiama quella roba che stai ascoltando?”
“Questa
roba si chiama “Bluvertigo”, e lo sai benissimo visto che mi
prendete tutti per il culo perché sono l'unico ad ascoltarli”,
continuavi a tenere l'occhio chiuso e i muscoli del viso tesi in un
mezzo broncio.
“No,
no lo so chi sono i Bluvertigo, sono andati anche a Sanremo
quest'anno no? Volevo sapere con che cosa li stai ascoltando. Non è
un lettore cd, e nemmeno uno mp3. Sono curiosa, tutto qui.”
Apristi
l'occhio e ti tolsi una cuffia, la smorfia se ne era andata.
“Robbè,
è un minidisc, è come un cd, però piccolo”, infilasti la mano
nello zaino e ne tirasti fuori quattro o cinque dischetti sporchi di
tabacco rivestiti di un involucro rigido di plastica.
“Ah,
ho capito, è come un cd in miniatura, però intorno ha la plastica
così non si rovina. Vabbè però gli mp3 sono più pratici no?
Perché ti sei comprato sto coso? Sembra un po' da sfigati”
“AHAHAHAHAH”
esplodesti in un risata, gli altri si fermarono per un attimo a
guardarti, Davide, il ragazzo sovrappeso in ultima fila disse “E'
pazzo”, poi continuarono le loro cose.
“Nono
Robbè, sono gli altri che sono sfigati”, “E perché, scusa?”
ti domandai con un tono di sfida.
“Perché
sono tutti dei scemi che seguono la moda. Appena esce il giocattolo
nuovo devono correre a comprarselo e a farsi fregare i soldi. E'
successo con i cellulari qualche anno fa, ti ricordi? I primi usciti
erano peggio delle cabine telefoniche e costavano un botto. Adesso
stanno cominciando a farli sempre più piccoli e meno costosi. Però
comunque se non avevi un cellulare eri uno sfigato. I lettori mp3
costano troppo per quello che offrono. Sono andato a farmi un giro
per negozi l'altro giorno e non si trovano a meno di 200 mila per 32
mega di memoria. Ma lo sai quante canzoni ci stanno in 32 mega?”
Ci
pensai su, ai tempi avevo un normalissimo lettore cd che leggeva solo
dischi originali “Boh, non lo so, un bel po' credo”
“Nono”
mi risposi, avevi l'aria di qualcuno che avesse vinto una sfida
importante “Nono non ce ne stanno un bel po' manco per niente. Tu
sei brava in matematica ed io sono una capra, giusto? Allora aiutami
a fare un po' di conti: se un file mp3 ha una grandezza media di 4
mega, quanti canzoni ci stanno su lettore?”
“Boh,
non lo so, una decina credo” ti risposi onesta, non avevo ancora
finito di pronunciare bene la “O” di “credo” che la tua voce
si sovrappose unendosi alla mia “O-A me dieci non bastano. Sai la
musica, la musica che uno ha dentro? La musica che siamo, ognuno a
modo suo, e che è oltre noi anche se ci sta dentro e nessuno ce la
potrà mai strappare? Io me la sogno ogni tanto, tu? Lo abbiamo
studiato con Schopenhauer pochi giorni fa, “l'immagine della
volontà stessa”. L'immagine
della nostra volontà di vivere Robbè! A me per capire sta musica,
quella mia, mi serve di sentire quella degli altri. Me ne voglio
sentire tanta, perché più ne ascolto più riesco ad aggiungere un
pezzetto alla sinfonia infinita che c'ho in testa” avevi gli occhi
lucidi e rossi.
Ero
perplessa, ma mi attraeva quello che dicevi, come lo dicevi. Non
sembravi il classico liceale sinistroide che ripete pieno di enfasi
teorie sovversive sentite chissà dove. Ti usciva naturale. Sembravi
tu, proprio “tu” a parlare, non qualcun altro, non so, è
difficile da spiegare a parole.
Nemmeno
tu riuscivi a spiegarti bene, ma anche se per la maggior parte del
tempo mi sembrò di stare ad ascoltare un pazzo (quando iniziammo ad
uscire la mia amica Anna me lo disse tante volte “Lascialo stare
Stefano, quello è matto, ma matto davvero, ti farà passare i guai”,
la odiavi. Dicevi “Meglio matti che tristi”), per un attimo, no
meno, solo il pezzettino più piccolo ed incalcolabile di un attimo,
la sentii anche io la tua “musica”.
Comunque
continuammo per un bel po', mi spiegasti che il minidisc aveva un
cavo che bastava attaccare ad una radio, stereo, computer o qualsiasi
altra cosa, per registrare direttamente, ed in più i dischetti erano
riscrivibili, la qualità del suono era migliore, se prendeva un urto
la musica non si arrestava e che quindi potevi portarti sempre dietro
tutta la musica che volevi. Sembravi un fiume in piena, non ti
fermavi più, eri davvero contento di poter spiegare a qualcuno che
te lo aveva chiesto quanto in realtà fosse “cool” (per il tuo
modo di vedere) quella cosa per la quale ti prendevano tutti in giro.
Alla fine suonò la campanella senza nemmeno ce ne accorgessimo.
Prima
di tornare al mio banco mi chiesi che musica ascoltavo, ti dissi che
mi piacevano molto Carmen Consoli e i Mostly Autumn, anche se erano
un gruppo che non avevi mai sentito nominare non facesti una piega,
mi dissi solo “Grazie” facendo un gran sorriso. Hai sempre avuto
dei bei denti.
Il
giorno dopo a ricreazione eravamo seduti al tuo banco ad ascoltarli
insieme col tuo minidisc smezzandoci le cuffiette.
Stè,
non lo so se davvero ce l'abbiamo questo suono dentro, questo ritmo
incredibile di accelerazioni, pause e ripartenze. Non lo so, è tanto
difficile ultimamente, è difficile con te, non so più a cosa sia
giusto credere. Però una cosa voglio tenerla stretta fino
all'ultimo: quando all'inizio ci sdraiavamo sul prato con gli occhi
chiusi tenendoci per mano senza dire una parola, quando coglievamo
quadrifogli, quando prendevamo in giro le coppie “normali”,
quando una notte abbiamo scavalcato il muro del parco, ci siamo
spogliati nudi e ci siamo buttati nell'acqua a fare l'amore, in tutti
quei momenti voglio credere ancora che da noi partiva una vibrazione,
un'onda che si univa a tutte le altre del mondo, si armonizzava e ce
ne rendeva parte.
Voglio
ancora credere che tu sia rimasto fedele al pazzo che eri in quei
giorni e non ti stia perdendo a guardare il lato brutto della vita.
Non
voglio credere che l'altra sera tu sia venuto ubriaco, fatto (quelle
non erano solo canne...) fuori casa, ti sia arrampicato sul cancello
e dimenato urlando e sbattendo come un animale che volevi parlarmi.
Non voglio credere che quando mia madre è venuta fuori e ti ha detto
di andare via con l'affetto, la dolcezza, di una persona che ti vuole
(ha voluto...) bene, tu le abbia dato una spinta rabbiosa, cattiva
facendola cadere per terra. Le hai fatto male. Fuori e dentro.
Che
posso fare Stè? Che posso fare ormai per noi? Mi rifugio nei
ricordi, mi faccio piccola piccola e mi avvolgo nella placenta che ci
circondava in quei giorni lontani da tutto ciò che non è più... Ti
appoggio la testa sul petto e sento ancora la nostra volontà di
vivere che ci batteva lo stesso tempo nel cuore.
Non
voglio che Anna abbia ragione.
16-10-20xx
Robbè
Robbè Robbè, mia splendida, unica, imperdibile Roberta.
Tu sei
la mia anima gemella, tu senti ciò che sento io. La musica c'è
ancora. Solo che si sente peggio, è sto mondo di merda pieno di
rumore e interferenze che ci fa sbagliare e scambiare un suono per un
altro, allora perdiamo il ritmo e facciamo cazzate. Ma la colpa non è
mia, capito? Non è MIA.
Lo sai
quanto ti amo, quando facevamo, facciamo l'amore e ti sto sopra e mi
guardi negli occhi e stai zitta e io pure non dico niente, tutto si
armonizza a noi, vive e muore ed è felice e si dispera in funzione
di noi, a noi soli che ci capiamo e siamo due come uno.
E in
quei momenti non c'è nient'altro, nessun frastuono che inquina
quello che sentiamo. E tu lo sai.
Ma poi
c'è il resto, c'è fuori il mondo che cerca, tenta con tutte le sue
forze di cambiarci e cambiarci per non cambiare lui ed io non ce la
faccio più perché il bar di mio padre ha chiuso, e nessuno mi fa
lavorare perché non ho esperienza, ma come cazzo me la faccio
l'esperienza se non posso cominciare, e sono mesi e mesi che ho le
stesse felpe e magliette e mutande e si stanno logorando, mi stanno
addosso e ci stiamo logorando e vorremmo smettere ma non abbiamo
scelta.
La
gente ripete, salmodia come un mantra “la crisi la crisi!”,
viviamo tutti in una crisi però vedo ancora tutti desiderare,
idolatrare i nuovi telefoni, le macchine, le squadre di calcio, mille
facce in tv che si rincorrono abbaiando che con loro cambierà, e non
cambia niente.
Comprare,
comprare. Cazzo il giradischi. Capito?!? Il giradischi e le mutande.
Non è giusto, è questo il rumore, tutto è rumore e non è colpa
mia. Vaffanculo a la musica da idioti, alla crisi che avete nel
cuore. Io pure VIVO, e voglio continuare a farlo, e voglio comprarti
il giradischi e comprarmi diecimila cazzo di mutande nuove tutte con
l'elastico perfetto e appena comincia a cedere buttarle via.
Se il
mondo fa rumore c'è da fare casino più di lui. Superare il livello
consentito, vaffanculo mi farò sentire. Ci faremo sentire.
Ho già
trovato il modo.
Mi
ricordo che avevo anche io un lettore mp3 nuovo, 64gb, il più
grande. Il mejo de tutti. Era qui fino a un attimo fa e non riesco
più a trovarlo...
Mi
ricordo di te.
Non
riesco più a trovarti.
Dove
siamo adesso?
20-12-20xx
Dove
hai preso tutta la roba che mi hai mandato? Da dove viene il 45 giri,
e i fiori, e i vinili? Come li hai comprati? Ti sei messo a
spacciare? A rubare? E' questa la fine che pensi di meritarti? Non mi
interessa più. Ti ho già mandato indietro tutto. Fra due settimane
parto, ho deciso. Mi hanno dato la borsa di studio per fare ricerca a
Berlino. Al mese non è molto, ma è quanto basta per andare via .
Via da
qui. Via da te.
Stè...
ti prego... salvati....
Tua
Roberta
22-12-20xx
Robbè
no. Nonononono.
Torna.
Tornatornatornatorna. Stringimi ancora. Stringimi per sempre.
Voglio
stringerti per sempre.
Dove
siamo ADESSO?
TORNA.
25-12-20xx
All'attenzione
del sig. Stefano Bianconi
dall'Avv.
Ingravallo, legale della famiglia Bastreghi
Con la
presente si comunica quanto segue:
La
famiglia Bastreghi tutta ha già patito molto a causa della prematura
scomparsa della sig.na Roberta Bastreghi avvenuta in Dicembre dello
scorso anno.
Sebbene
i giudici Le abbiano comminato una pena detentiva pari ad anni
ventuno per il reato commesso (non esprimo opinioni a riguardo
soltanto per non contravvenire all'articolo n.48 del codice forense),
La invito formalmente a non tormentare ulteriormente la suddetta
famiglia con missive indirizzate alla scomparsa.
Viceversa
sarà interesse della famiglia Bastreghi tutelarsi giuridicamente.
Distinti
saluti
Avv.
Francesco Ingravallo
APPENDICE
Indice
delle date e titoli
Roberta
- 07/04/2009 - Quadrifogli
Stefano
- 27/04/2010 - Giradischi
Roberta
- 01/07/2009 - Fisica
Stefano
- 09/07/2010 - Rabbia
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