E' passato un po' di tempo dall'ultimo post.
Ci metto quello che mi serve, ma non smetto.
Non smetterò mai, credo.
Un nuovo motivo -CapV -FINE
C'era
qualcosa negli occhi di quell'uomo che turbò tutti e tre lasciandoli
senza una parola buona con la quale rispondergli.
Era la
posa, la garza sporca, la barba incolta, ma erano gli occhi, gli
occhi sopra ogni cosa. Erano verde chiaro, ma in qualche modo
«spenti», come se qualcuno gli avesse invertito l'interruttore e
invece di riflettere la luce, la assorbissero.
Più
che spenti sembravano proprio funzionare al contrario.
Ebbero
la sensazione condivisa di venire risucchiati assieme al giorno, e
alla stanza, a Stefano e tutto il vuoto che li circondava.
Erano
gli occhi di un uomo che non aveva nulla da perdere, non gli
importava di perderlo, e comunque se l'avesse fatto avrebbe attratto
e portato con lui quanto più possibile di quello che aveva intorno.
«Vabbè,
se avete finito di guardarvi l'uno con l'altro come tre ebeti,
decidetevi a dirmi se si va, o se volete rimanere a guardare il
vostro amico fino a quando non crepa o non si sveglia. Per me non
cambia niente, so io che vi starei a fa un favore» sembrava non
emanare nessuna emozione mentre lo diceva.
Luna
gli si avvicinò, erano petto a petto, lo guardava da venti
centimetri più in basso, ma dalla sua aveva così tanta forza e
tempo perso che riuscì a rimandare indietro tutto il vuoto che
partiva da Remo.
«Va
bene verme. Vuoi provare a fare il buon samaritano, a mettere una
pezza a tutte le infamate che devi aver fatto nella tua vita con un
grande gesto? Dammi le chiavi della macchina, il portafogli, il
telefono, tutto. Sia chiaro da subito: non sei tu che fai un piacere
a me, sono io che lo faccio a te. Se non ti sta bene fatti arrestare
subito, sarebbe quello che ti meriti».
Remo
sbuffò e rise di gusto «Ahahah brava, si vede che anche tu non hai
niente da perdere, brava davvero, lo spirito è quello giusto. Ho
tutto in stanza, mi cambio e te lo porto», detto questo uscì
scomparendo così come era entrato.
Durante
l'assenza Antonello provò a dissuadere Luna «A Lù ma che stai a
fa? Te sei impazzita? Quello è matto, è pericoloso! Che ne sai che
può fare quando state da soli?! Io non sto tranquillo».
Il
Bianco stava in silenzio a guardare Stefano, non ascoltava, assente.
«Se
non stai tranquillo ti potevi far sentire durante quest'anno» gridò
incazzata «invece di fare la parte dell'amico ferito e abbandonato.
Oppure mi vuoi dare il tuo motorino subito, eh, che dici?».
In quel
momento tornò Remo, indossava un paio di jeans larghi e una camicia
a righe marrone aperta fino al petto che lasciava intravedere una
catena con un grosso crocefisso d'oro, delle infradito ai piedi.
«Bè,
che si fa? Si va?»
«Certo
che si va. Dammi le chiavi, t'ho detto che guido io. E voi due badate
a Stefano e non fate danni. Dovete fare solo quello che vi riesce
meglio: niente.
Il
primo che ha una novità aggiorna l'altro...
Scusate
se sono così dura, ma è un momento difficile... Mi ha fatto davvero
piacere rivedervi. A Presto»
Un
attimo dopo erano dentro l'Alfa 167 verde smeraldo con gli interni in
pelle di Remo, Luna mise in moto ed il motore rombò con un rumore
potente ed anni ottanta.
«Guarda
che c'ho pure il navigatore, visto che sai l'indirizzo ci dovremmo
mettere un'attimo»
«Stai
zitto. Non mi pare di averti detto che potevi parlare... Ma come
diavolo si mette la prima...»
«Se
spingi leggera la frizione e...»
«Zitto
t'ho detto! Devo prima passare a casa mia, e di Stefano»
Luna
percorse le poche centinaia di metri che separavano il policlinico da
casa sua a grande velocità. Fino a quel momento aveva sempre avuto
paura di guidare per Roma; ne aveva avuto poche occasioni ed inoltre
le mancavano parecchi gradi a tutti e due gli occhi, tant'è che
anche con le lenti a contatto aveva serie difficoltà a leggere i
tabelloni con gli orari dei treni (un paio di volte le era capitato
di perderli per questo motivo). Eppure arrivò di fronte al cancello
di ferro di casa sua inchiodando di botto di fronte alla pensilina
del bus 492, ostruendone il passaggio. Tolse le chiavi dal quadro, si
lanciò fuori, lasciò Remo a cuocersi al sole come un cane lasciato
in macchina dai padroni ed ignorò del tutto il portiere che cercava
di salutarla con falsa giovialità. Tornò veloce così come era
andata, portando con se una specie di trasportino coperto da un telo
bianco. Lo pose con cura sul sedile posteriore bloccandolo con le
cinture di sicurezza e ripartì sgommando dopo aver inserito
l'indirizzo di destinazione nel navigatore.
Un paio
di chilometri dopo avere imboccato la tangenziale, Remo provò a dire
«E in quella gabbia cosa ci sarebbe? Il tuo gatto non poteva fare a
meno di te per un giorno?»
«Perchè?»
rispose pungente Luna «vorresti macinare pure lui?»
«Non
dirlo nemmeno per scherzo. I gatti per me sono importanti, sacri»
«Ma
smettila» sbuffò sarcastica «non credo che una persona come te
conosca davvero il significato di 'sacro', di qualcosa da proteggere
con tutto il cuore.
E
comunque non è mio. L'ho trovato, trovata, vicino a Stefano sul
luogo dell'incidente. Se riesci a trattenere i tuoi istinti omicidi
puoi togliere il telo e guardare».
Remo si
voltò e scansò il telo pieno di curiosità, come un bambino che
abbia ricevuto il pacchetto misterioso di un regalo inaspettato.
Dal
profondo di due occhi piccolissimi e perfettamente tranquilli, una
gallina lo guardava non tradendo il benché minimo gesto di
nervosismo, pareva quasi se lo aspettasse.
Remo
rimase a guardarla ipnotizzato sei o sette secondi, poi tornò a
sedersi sul sedile anteriore, rimase perplesso, si girò di nuovo
spostando nuovamente il telo, l'animale era sempre lì, lo fissava.
Si girò a guardare dritto il panorama davanti a se per qualche altro
secondo, poi guardò Luna, si voltò di nuovo verso la gabbia, poi di
nuovo verso Luna e poi dritto. Era senza parole, come un bambino che
scartato il regalo misterioso non sia riuscito a capire bene che
razza di oggetto abbia ricevuto.
«Ma è
davvero...», Luna lo interruppe;
«Certo
che è una gallina. Non so che ci facesse Stefano. Stava vicino a lui
senza muoversi quando sono arrivata all'incrocio dell'incidente. Ma è
certo che se aveva solo lei con se deve essere importante. Può
essere utile capire da dove viene. A casa non ce la lascio. E
comunque non chiamarla 'gallina', ha una targhetta con un nome suo al
collo... 'Nana'»
Remo si
limitò a ripetere imbambolato «Nana... ho capito».
Stettero
in silenzio da quel momento, Luna guidò nervosa fino a quando il
navigatore non iniziò a dirottarli chilometri dopo, per stradine di
campagna cominciando a ripetere senza fine «Ricalcolo, ricalcolo,
ricalcolo».
Remo
staccò con rabbia il navigatore e lo buttò dal finestrino «Tanto
da qui in poi è inutile, l'aveva detto il tuo amico».
Luna
chiese a chiunque incontrava per le vie sterrate e semi deserte come
si arrivasse a Via di Campo Verde a Roccacencia ; bambini in
calzoncini corti con bastoni fra le mani, un contadino rugoso in
trattore, due vecchie con uno scialle nero in testa e buste piene di
ortiche.
Quando
finalmente riuscirono a trovare la via, scritta a mano su un cartello
di legno, erano ormai le undici di sera passate. Eppure nel buio
assoluto, senza un lampione della campagna, gli sembrò di vedere una
grande quantità di luci e di sentire un frastuono incredibile,
proprio lì vicino a loro.