venerdì 28 febbraio 2014

Crisi


07-04-20xx

Perché non hai colto i quadrifogli con me?
E' una cosa semplice, all'apparenza può sembrare anche infantile, immatura.
Però non te ne importava, e nemmeno a me.
Non ci importava, no no, ho sbagliato il tempo; spero importa, di fare cose semplici o immature.
Che poi che è semplice lo dici solo tu. Prima di tutto dobbiamo trovare il tempo di incontrarci, poi cambiare tre bus per lasciarci tutti i palazzi alle spalle. Dobbiamo trovare un posto tranquillo dove non ci siano troppe persone e dal quale si possa vedere il lago e le anatre. Ah, e naturalmente deve essere e mezza via tra il sole e l'ombra per non moririci di freddo e nemmeno di caldo. Poi, finalmente, possiamo sfidarci a chi trova più quadrifogli. E baciarci. Per ognuno che portiamo all'altra, un bacio. Ci regaliamo delle cose a vicenda senza spendere niente, mi piace tanto. E ti ricordi quella domenica di qualche mese fa, quando era pieno di gente meglio vestita di noi che non ci lasciava cercare bene e tu non ne hai trovato nessuno? Ti sei arrabbiato ed hai iniziato ad urlargli contro che era meglio che si andassero a chiudere dentro un centro commerciale, perché noi eravamo impegnati ad innamorarci e il loro essere gente perbene disturbava noi e calpestava i quadrifogli. Mi hai fatto ridere. Ti ho dato dieci baci anche se non c'era bisogno di arrabbiarti e non avevi trovato nessun quadrifoglio.
Stefano, lo sai che i quadrifogli sono una scusa, e che allontanarci dalla città non è un fuga. E' il nostro antidoto alle vie del centro, alle marche sui cartelloni pubblicitari. Il nostro siero contro le persone famose, contro il ciclo fare-per-comprare. E' il nostro elisir di baci.
E' bellissimo quando ci sdraiamo sfiniti di troppi trifogli e ci diciamo in faccia quello che faremo fra qualche tempo, quando ci accorgeremo di quello che vorremo fare.
A me non pare semplice. Secondo me essere così non è semplice. Sarebbe più facile imprigionarci anche noi in un centro commerciale per guardare quello che è di moda, comprarcelo a rate e finirlo di pagare quando anche la moda sarà finita.
Allora spiegami perché l'ultima volta i quadrifogli non li hai voluti cogliere e te ne sei rimasto due ore seduto sul prato ad ubriacarti di birra, senza dire niente.

27-04-20xx
Bella mia, ti scrivo dopo un po' di tempo.
Mi è servito per capire come mi girava in quel periodo. Ho dovuto metabolizzare bene e trovare le parole adatte per spiegarti come voglio. Spero tu non sia troppo arrabbiata con me e mi voglia perdonare. Lo so che parlavi in modo sincero e che le tue parole sono partite tutte dal profondo del cuore. Però i tuoi discorsi poggiano tutti su terreni metafisici. Mi parli di amore, di pensieri, di due anime, le nostre, unite contro l'impero del quieto vivere e del consumismo. Lo sai che la penso come te, però fermarsi a quello è ingiusto. E' ingiusto se non contestualizzi e riporti tutto al periodo in cui è avvenuto. Lo so che avresti voluto rimanere ferma nel nostro mondo d' amore, anche io, ma il mondo se ne frega e continua a girare. Nelle specifico il periodo, il giorno in cui ho smesso di cogliere quadrifogli ed iniziato a bere, girava in un modo di merda.
Me lo ricordo bene, era fine marzo, un paio di giorni prima del tuo compleanno.
Sai che riesco ancora a ricordarmi le scene di quella mattina come se fosse un film?
Davvero, riesco a vedermi camminare dal di fuori come stessi osservando qualcun altro o qualcosa che non appartiene a me. Penso sia normale averlo ancora così nitido nella mente ora, ma...
… ci ho messo comunque qualche tempo per recuperare tutto e sostituirlo ai buchi di memoria che ho avuto. Qualcuno ce l'ho ancora.
Comunque, per il tuo compleanno non hai mai voluto niente. Dicevi che se un giorno non è ben speso, allora ogni momento vale un altro. Per questo andavamo sempre a vedere un posto nuovo per festeggiare: legando quel giorno a quel posto avremmo costruito un ricordo nuovo. Non ho mai capito fino in fondo cos'è che volevi dire: anche andando a cena fuori credo lo avremmo creato, il ricordo. L'ultima volta avrei voluto regalarti una cosa diversa: al parco mi avevi parlato di tutti i 45 giri che avevi trovato nello scantinato di tuo nonno, una collezione grandissima di cantanti italiani, e di come avresti voluto poterli ascoltare per capire che tipo fosse tuo nonno; sentirti un po' come si sentiva lui a venti anni quando li ascoltava, far finta insieme un pomeriggio di essere una giovane coppia degli anni 60 che passava un pomeriggio ad ascoltare vinili di nascosto dai genitori.
L'avevo trovata un'idea bellissima.
Mi ricordo bene il sole che c'era la mattina che sono uscito a cercarti il giradischi d'epoca, di come ti scaldava quando non eri nelle zone d'ombra, e di come il freddo della tramontana ti penetrasse fin dentro lo stomaco quando c'eri. Mi ricordo di aver girato fino a mezzogiorno e mezza, quattro negozi di musica prima di imbroccare quello buono. Di come avessi parlato intimamente col proprietario del regalo che volevo farti, della commozione di poter realizzare il tuo desiderio (inespresso naturalmente, come tutti i tuoi riguardanti le cose materiali); lo avrei fatto sapere anche al conducente del 175 quanto ero felice in quel momento “Oh conducente, oggi ho comprato un giradischi d'epoca alla mia ragazza per ascoltare insieme musica anni 60 e far finta di essere ancora in quegli anni. Ma il traffico non pare un po' meno brutto pure a te oggi?”
Mi ricordo il prezzo che mi ha detto. Di sbrigarmi a prenderlo perché anche un vecchio era venuto a vederlo qualche giorno prima e aveva detto che lo avrebbe comprato appena presa la pensione.
“Non ci credo, lo dici solo per mettermi fretta” gli ho detto, e lui “No ti giuro. Poi a me non mi frega, a chi lo vendo lo vendo. Però sarei più contento di darlo a te. Quello capace che se lo compra e dopo du' giorni schiatta”.
Avrei voluto prenderlo subito, ma non avevo tutti quei soldi.
Mi è scoppiato il mal di testa quando sono uscito dicendogli di tenermelo almeno fino a quando il vecchio non fosse ritornato.
Non era colpa mia ma non potevo farci niente. Sia per il giradischi che per il mal di testa, non potevo farci niente.
Se ero uno studente di 22 anni e non avevo lavoro non era certo colpa mia, ne sono convinto, almeno in parte.
Quando sono uscito faceva più freddo, o così mi ricordo perché la tramontana oltre che dallo stomaco mi entrava pure dalle orecchie. Ho pensato che l'unica soluzione poteva essere chiedere una mano a mio padre. Certo non era proprio il momento migliore visto che aveva dato fondo a tutti i soldi dell'assicurazione per aprire il bar dopo che mia madre era morta nell'incidente.
Forse era stata una follia, ma non mi ero sentito di biasimarlo. Forse buttarsi in un cosa nuova senza avere niente a proteggerlo lo faceva sentire più libero dopo aver perso la cosa più importante per lui.
E poi era proprio bello. Papà è un po' una bestia, selvaggio, con quella barba nera e le poche parole mi è sempre sembrato un diavolo dei boschi. Non so se gli sia venuto naturale o abbia dovuto raschiare ogni frammento di sensibilità che mia madre gli aveva lasciato addosso. Ma alla fine era riuscito a farlo come lo avrebbe fatto lei. C'era mia madre in quel bar, nei tavoli nuovi di noce sbiancata, nelle palme Areca discrete agli angoli, nei quadri dell'avanguardia russa e spagnola appesi ai muri, nella voce rotta dall'alcool di De Andrè e Brassens che usciva dalle casse.
Nella disposizione della macchina del caffè, tazze, bottiglie, tutto si integrava in un unico tipo di natura, tutto si voleva sposare all'altro. Eppure durante il primo mese le cose non stavano andando bene, per niente. Ed io ancora non ti so descrivere bene la rabbia, tristezza, senso d'inadeguatezza che m'ha preso quando sono arrivato e dalle vetrine ho visto mio padre in piedi, immobile col suo grembiule nero davanti alla cassa, al bar vuoto. Dopo tutti i suoi sforzi, e la mamma, e il giradischi, cazzo il giradischi. Poi tutto si è mischiato al mal di testa, m'ha rotto la mente e al suo posto c'ha lasciato un vuoto. Non riuscivo a pensare a niente. Quando t'ho raggiunto questo vuoto m'aveva già quasi mangiato tutto da dentro. Ho bevuto tanto per tentare di colmarlo.
Ecco... Ti ho risposto e ti ho spiegato.
Mi perdoni?


01-07-20xx
Stè, ti continuo a scrivere perché al momento è l'unico modo che ho per mettermi in contatto con te, col tuo vero te. Visto che quando siamo insieme non mi ascolti più, spero almeno tu mi legga quando non lo siamo.
Spiegami che cosa sta succedendo, perché non lo capisco, spiegamelo perché sono triste. Lo so che è difficile trovare lavoro mentre si studia e che il bar di tuo padre non se la sta passando bene. Però non sono buoni motivi per cadere a pezzi. Lo sarebbero, forse, se non ci avessimo l'una con l'altra, però ci siamo, no? Quando uno dei due sta male non può cadere, perché quando inizia ad inclinarsi e a franare verso terra, subito accanto c'è l'altra che lo sostiene, lo tiene in piedi fino a quando non sta meglio e può reggersi da solo. Non dire che sono la solita romantica, non è un fatto d'amore questo, è fisica. Se due oggetti sono posti uno accanto all'altro ed uno dei due comincia ad inclinarsi da un lato (possibilmente quello giusto), se il corpo che gli è accanto riesce ad opporre una forza uguale e contraria lo tiene in piedi, sennò cadono entrambi. Al liceo te l'avevo fatto capire spiegandoti che la terra e la luna si attraggono e respingono con la stessa forza, se uno dei due ci mettesse troppa forza attirerebbe l'altro nella sua orbita ed esploderebbero entrambi. Vorrei non esplodessimo.
Lo so che è difficile, lo è per tutti. Però devi guardare le cose positive che ci sono: certo non puoi permetterti grandi spese in questo momento, ma ti servono? Hai una casa, puoi mangiare tutti i giorni, coltivare i tuoi sogni, costruirti la tua strada lunga e luminosa. Hai me.
Fino a qualche settimana fa avevamo anche questo parco tutto per noi.
Il lago era nostro quando ci facevamo lunghe passeggiate intorno e ci riflettevamo sulla superficie col bel tempo, le papere e le anatre erano nostre quando passavamo mezz'ore a guardarle andare giù e poi riemergere dopo qualche angosciato secondo di troppo dalla parte opposta.
I visoni, le volpi, tutte le bestie morte che stavano appese alle signore bene nel caldo di aprile erano nostre quando le guardavamo e le facevamo le boccacce. In tutte queste cose noi ci appartenevamo. Non tu a me ed io a te, ognuno a se stesso. Eravamo esclusiva proprietà di noi stessi.
Ti scrivo questo perché vorrei tornassi ad appartenerti. Perché quando non ascolti e sei perso nei fantasmi delle tue fantasie, o semplicemente perché sei ubriaco, non sei tuo, sei tuo schiavo.
E sopratutto, davvero, la cosa più importante, non fare mai maimaimaimaimaipiù come la sabato scorso. Perché hai iniziato a tirare pietre alle anatre? Credo che ad una tu abbia spezzato un'ala. Avresti potuto ucciderla, ed ho paura che tu lo sappia.
L'ho detto... ho paura. Smettila e amiamoci e basta.
Ps. Non m'importa non sia stato un bel compleanno. Torna indietro e facciamone un altro.

09-07-20xx
Ero arrabbiato. Ero arrabbiato perché non avevo potuto comprarti il giradischi; per questo ho preso a sassate le anatre. Ti ho raggiunto al parco e tu eri sotto il sole con un cappello di tela beige, una roba da mercatino. Però ci avevi messo qualche margherita che avevi colto poco prima, sorridevi. A ripensarci eri proprio semplice. Una bellezza semplice, senza roba inutile.
Eri una vista incredibile. Un deserto.
Cristo come mi ha fatto incazzare vederti così bella e sapere di non poterti dare quello che io avrei voluto. Di non poterti dare il giradischi per sentire i 45giri di tuo nonno, non poterti portare a cena fuori, non poterti offrire un cono gelato gigantesco solo per sporcarti il naso di panna e ridere insieme.
Tu stavi lì, bellissima e sorridente, ed io non avevo niente.
Lo so, lo so che mi diresti che quello che volevi ce l'avevo già, che era dentro di me.
Però cazzo, la vita è più complessa, non siamo fatti di materia eterea, siamo di carne e ossa. Carne che respira, si nutre, desidera. Il punto della vita, il centro preciso ed esatto non è proprio realizzare i propri desideri prima che finisca lei? Non è questa la vera libertà? Non è finire quello che vogliamo prima di morire? E io questa libertà non ce l'avevo. Volevo esaudire tutti i tuoi desideri. Volevo esaudire il MIO desiderio di esaudire i tuoi inespressi.
Invece noi stavamo fermi. Fermi davanti al lago a vedere passare le papere e le anatre.
A vederle nuotare in acqua senza problemi, senza pensieri, senza cose da dover fare se non quelle che le dettavano l'istinto. Ho provato una gran rabbia.
Perché non devono pagare l'affitto del lago? Perché non devono comprare quello che mangiano? Perché non hanno ricordi da dover dimenticare?
Più ci penso e più mi sembra di essere risucchiato in un buco nero, un buco nero che nasce da dentro di me, che parte dalle budella e mi rivolta dall'interno, mi gira come un guanto e mette la pelle al posto delle ossa e le ossa al posto della pelle e ho i capelli dentro la testa e mi pizzicano tutti come mille spilli e il cervello fuori a contatto con l'aria mi duole e questo buco nero succhia e succhia sempre più forte fino al centro e tutto mi tira tutto mi fa male sono inghiottito da me stesso e non so che fare. E le papere, le maledette papere non pensano a niente, perché perché perché perché perché?
No. No no scusa lascia stare, è stato solo un attimo. Mi sentivo davvero così ma è passato. E' stato tempo fa, adesso sono più leggero.
Però cerca di capire, il bar di mio padre aveva chiuso, non riuscivo a dare esami, non avevo trovato lavoro nemmeno per dare i giornali fuori dalla metro, e sta cazzo di crisi che pare abbia fermato il mondo, i miei amici che piangevano miseria e nel frattempo uno s'era fatto la Dacia nuova con i soldi della pensione del padre, l'altro s'era comprato la Playstation anche se erano tre mesi che non lavorava. E io manco un giradischi usato ti sono riuscito a comprare. Non mi riesce niente. Mi sento un peso per te. Mi sento come se tu sognassi anche per me, perché a me ormai non riesce nemmeno quello.
Ma adesso, adesso ho capito, devo starti vicino, lo devo fare perché tu lo fai. E se ci stiamo vicini non ci possiamo perdere, non possiamo perdere la strada anche se non prendiamo quella giusta. Non possiamo perdere e basta. Non ho ragione? E' in momenti come questi che dobbiamo stringerci. Nei momenti che cambiano tutto il nostro piccolo mondo, noi dobbiamo rimanere uguali.
Conservare le immagini che abbiamo di te e di me.
Per sempre.

Ps. Per favore, rispondi.

11-10-20xx
Sai qual'è stata al liceo la cosa che mi ha fatto interessare a te? Il minidisc...
In quel periodo tutti avevano iniziato ad ascoltare i primi lettori mp3 della Sony o della Creative (nessuno immaginava ancora la bomba atomica culturale che sarebbe stata la Apple per i giovani, e d'altronde quasi nessuno sapeva cos'era o cosa facesse... Come cambiano le cose...)
Tu te ne venivi in classe sempre con le cuffie infilate nelle orecchie e la musica dei Bluvertigo e dei Doors sparata al massimo. Gli altri compagni ti prendevano in giro: i Doors erano passati di moda da troppo tempo, e i Bluvertigo non lo sono mai stati, in più usavi quell'affare strano per ascoltarli, eri un personaggio. Un giorno, durante l'intervallo, tu stavi con la guancia appoggiata sul banco e gli occhi chiusi, la musica ovattata che ti usciva dalle orecchie si impastava alla risa delle ragazze in seconda fila (io stavo in penultima), alle voci scoordinate dei ragazzi che giocavano a calcetto col cancellino. Ma era un'immagine troppo eterogenea perché si amalgamasse davvero, non sembravi far parte della stessa realtà: eri come protetto da una nuvola densa e trasparente che partiva dagli auricolari e ti avvolgeva come una placenta.
Per un attimo mi sembrò che dove eri seduto tu, il tuo corpo, il banco, la sedia, tutto fosse un'immagine ritagliata da un'altra realtà ed appiccicata alla bene e meglio nella nostra. O forse eravamo noi ad essere stati ritagliati ed appiccicati con la saliva sulla tua. Mentre l'intervallo proseguiva disordinato, smisi di parlare con le mie amiche ed attraversai la nuvola.
Ti battei due colpi sulla spalla, ti girasti dall'altra parte emettendo una specie di grugnito. Te ne diedi altri due e tu senza girarti, con la faccia rivolta verso la finestra mi dissi (più o meno, è passato tanto tempo) “Ma che vuoi? Lasciami dormire”.
Non mi perdei d'animo e continuai a picchiettarti la spalla con un ritmo fastidioso, volevo sapere, capire perché ascoltassi un aggeggio così strano e diverso da quello degli altri.
Alla fine riuscii a farti voltare. Avevi ancora le cuffie e mi guardavi con un occhio aperto e uno chiuso, la faccia contorta in un'espressione di attesa indesiderata. Non dicevi niente, io nemmeno, mi guardavi e basta, aspettavi, io pure. Stavi per rimetterti con il viso contro il muro quando presi coraggio e ti chiesi “Com'è che si chiama quella roba che stai ascoltando?”
“Questa roba si chiama “Bluvertigo”, e lo sai benissimo visto che mi prendete tutti per il culo perché sono l'unico ad ascoltarli”, continuavi a tenere l'occhio chiuso e i muscoli del viso tesi in un mezzo broncio.
“No, no lo so chi sono i Bluvertigo, sono andati anche a Sanremo quest'anno no? Volevo sapere con che cosa li stai ascoltando. Non è un lettore cd, e nemmeno uno mp3. Sono curiosa, tutto qui.”
Apristi l'occhio e ti tolsi una cuffia, la smorfia se ne era andata.
“Robbè, è un minidisc, è come un cd, però piccolo”, infilasti la mano nello zaino e ne tirasti fuori quattro o cinque dischetti sporchi di tabacco rivestiti di un involucro rigido di plastica.
“Ah, ho capito, è come un cd in miniatura, però intorno ha la plastica così non si rovina. Vabbè però gli mp3 sono più pratici no? Perché ti sei comprato sto coso? Sembra un po' da sfigati”
“AHAHAHAHAH” esplodesti in un risata, gli altri si fermarono per un attimo a guardarti, Davide, il ragazzo sovrappeso in ultima fila disse “E' pazzo”, poi continuarono le loro cose.
“Nono Robbè, sono gli altri che sono sfigati”, “E perché, scusa?” ti domandai con un tono di sfida.
“Perché sono tutti dei scemi che seguono la moda. Appena esce il giocattolo nuovo devono correre a comprarselo e a farsi fregare i soldi. E' successo con i cellulari qualche anno fa, ti ricordi? I primi usciti erano peggio delle cabine telefoniche e costavano un botto. Adesso stanno cominciando a farli sempre più piccoli e meno costosi. Però comunque se non avevi un cellulare eri uno sfigato. I lettori mp3 costano troppo per quello che offrono. Sono andato a farmi un giro per negozi l'altro giorno e non si trovano a meno di 200 mila per 32 mega di memoria. Ma lo sai quante canzoni ci stanno in 32 mega?”
Ci pensai su, ai tempi avevo un normalissimo lettore cd che leggeva solo dischi originali “Boh, non lo so, un bel po' credo”
“Nono” mi risposi, avevi l'aria di qualcuno che avesse vinto una sfida importante “Nono non ce ne stanno un bel po' manco per niente. Tu sei brava in matematica ed io sono una capra, giusto? Allora aiutami a fare un po' di conti: se un file mp3 ha una grandezza media di 4 mega, quanti canzoni ci stanno su lettore?”
“Boh, non lo so, una decina credo” ti risposi onesta, non avevo ancora finito di pronunciare bene la “O” di “credo” che la tua voce si sovrappose unendosi alla mia “O-A me dieci non bastano. Sai la musica, la musica che uno ha dentro? La musica che siamo, ognuno a modo suo, e che è oltre noi anche se ci sta dentro e nessuno ce la potrà mai strappare? Io me la sogno ogni tanto, tu? Lo abbiamo studiato con Schopenhauer pochi giorni fa, “l'immagine della volontà stessa”. L'immagine della nostra volontà di vivere Robbè! A me per capire sta musica, quella mia, mi serve di sentire quella degli altri. Me ne voglio sentire tanta, perché più ne ascolto più riesco ad aggiungere un pezzetto alla sinfonia infinita che c'ho in testa” avevi gli occhi lucidi e rossi.
Ero perplessa, ma mi attraeva quello che dicevi, come lo dicevi. Non sembravi il classico liceale sinistroide che ripete pieno di enfasi teorie sovversive sentite chissà dove. Ti usciva naturale. Sembravi tu, proprio “tu” a parlare, non qualcun altro, non so, è difficile da spiegare a parole.
Nemmeno tu riuscivi a spiegarti bene, ma anche se per la maggior parte del tempo mi sembrò di stare ad ascoltare un pazzo (quando iniziammo ad uscire la mia amica Anna me lo disse tante volte “Lascialo stare Stefano, quello è matto, ma matto davvero, ti farà passare i guai”, la odiavi. Dicevi “Meglio matti che tristi”), per un attimo, no meno, solo il pezzettino più piccolo ed incalcolabile di un attimo, la sentii anche io la tua “musica”.
Comunque continuammo per un bel po', mi spiegasti che il minidisc aveva un cavo che bastava attaccare ad una radio, stereo, computer o qualsiasi altra cosa, per registrare direttamente, ed in più i dischetti erano riscrivibili, la qualità del suono era migliore, se prendeva un urto la musica non si arrestava e che quindi potevi portarti sempre dietro tutta la musica che volevi. Sembravi un fiume in piena, non ti fermavi più, eri davvero contento di poter spiegare a qualcuno che te lo aveva chiesto quanto in realtà fosse “cool” (per il tuo modo di vedere) quella cosa per la quale ti prendevano tutti in giro. Alla fine suonò la campanella senza nemmeno ce ne accorgessimo.
Prima di tornare al mio banco mi chiesi che musica ascoltavo, ti dissi che mi piacevano molto Carmen Consoli e i Mostly Autumn, anche se erano un gruppo che non avevi mai sentito nominare non facesti una piega, mi dissi solo “Grazie” facendo un gran sorriso. Hai sempre avuto dei bei denti.
Il giorno dopo a ricreazione eravamo seduti al tuo banco ad ascoltarli insieme col tuo minidisc smezzandoci le cuffiette.
Stè, non lo so se davvero ce l'abbiamo questo suono dentro, questo ritmo incredibile di accelerazioni, pause e ripartenze. Non lo so, è tanto difficile ultimamente, è difficile con te, non so più a cosa sia giusto credere. Però una cosa voglio tenerla stretta fino all'ultimo: quando all'inizio ci sdraiavamo sul prato con gli occhi chiusi tenendoci per mano senza dire una parola, quando coglievamo quadrifogli, quando prendevamo in giro le coppie “normali”, quando una notte abbiamo scavalcato il muro del parco, ci siamo spogliati nudi e ci siamo buttati nell'acqua a fare l'amore, in tutti quei momenti voglio credere ancora che da noi partiva una vibrazione, un'onda che si univa a tutte le altre del mondo, si armonizzava e ce ne rendeva parte.
Voglio ancora credere che tu sia rimasto fedele al pazzo che eri in quei giorni e non ti stia perdendo a guardare il lato brutto della vita.
Non voglio credere che l'altra sera tu sia venuto ubriaco, fatto (quelle non erano solo canne...) fuori casa, ti sia arrampicato sul cancello e dimenato urlando e sbattendo come un animale che volevi parlarmi. Non voglio credere che quando mia madre è venuta fuori e ti ha detto di andare via con l'affetto, la dolcezza, di una persona che ti vuole (ha voluto...) bene, tu le abbia dato una spinta rabbiosa, cattiva facendola cadere per terra. Le hai fatto male. Fuori e dentro.
Che posso fare Stè? Che posso fare ormai per noi? Mi rifugio nei ricordi, mi faccio piccola piccola e mi avvolgo nella placenta che ci circondava in quei giorni lontani da tutto ciò che non è più... Ti appoggio la testa sul petto e sento ancora la nostra volontà di vivere che ci batteva lo stesso tempo nel cuore.
Non voglio che Anna abbia ragione.

16-10-20xx
Robbè Robbè Robbè, mia splendida, unica, imperdibile Roberta.
Tu sei la mia anima gemella, tu senti ciò che sento io. La musica c'è ancora. Solo che si sente peggio, è sto mondo di merda pieno di rumore e interferenze che ci fa sbagliare e scambiare un suono per un altro, allora perdiamo il ritmo e facciamo cazzate. Ma la colpa non è mia, capito? Non è MIA.
Lo sai quanto ti amo, quando facevamo, facciamo l'amore e ti sto sopra e mi guardi negli occhi e stai zitta e io pure non dico niente, tutto si armonizza a noi, vive e muore ed è felice e si dispera in funzione di noi, a noi soli che ci capiamo e siamo due come uno.
E in quei momenti non c'è nient'altro, nessun frastuono che inquina quello che sentiamo. E tu lo sai.
Ma poi c'è il resto, c'è fuori il mondo che cerca, tenta con tutte le sue forze di cambiarci e cambiarci per non cambiare lui ed io non ce la faccio più perché il bar di mio padre ha chiuso, e nessuno mi fa lavorare perché non ho esperienza, ma come cazzo me la faccio l'esperienza se non posso cominciare, e sono mesi e mesi che ho le stesse felpe e magliette e mutande e si stanno logorando, mi stanno addosso e ci stiamo logorando e vorremmo smettere ma non abbiamo scelta.
La gente ripete, salmodia come un mantra “la crisi la crisi!”, viviamo tutti in una crisi però vedo ancora tutti desiderare, idolatrare i nuovi telefoni, le macchine, le squadre di calcio, mille facce in tv che si rincorrono abbaiando che con loro cambierà, e non cambia niente.
Comprare, comprare. Cazzo il giradischi. Capito?!? Il giradischi e le mutande. Non è giusto, è questo il rumore, tutto è rumore e non è colpa mia. Vaffanculo a la musica da idioti, alla crisi che avete nel cuore. Io pure VIVO, e voglio continuare a farlo, e voglio comprarti il giradischi e comprarmi diecimila cazzo di mutande nuove tutte con l'elastico perfetto e appena comincia a cedere buttarle via.
Se il mondo fa rumore c'è da fare casino più di lui. Superare il livello consentito, vaffanculo mi farò sentire. Ci faremo sentire.
Ho già trovato il modo.
Mi ricordo che avevo anche io un lettore mp3 nuovo, 64gb, il più grande. Il mejo de tutti. Era qui fino a un attimo fa e non riesco più a trovarlo...
Mi ricordo di te.
Non riesco più a trovarti.
Dove siamo adesso?

20-12-20xx
Dove hai preso tutta la roba che mi hai mandato? Da dove viene il 45 giri, e i fiori, e i vinili? Come li hai comprati? Ti sei messo a spacciare? A rubare? E' questa la fine che pensi di meritarti? Non mi interessa più. Ti ho già mandato indietro tutto. Fra due settimane parto, ho deciso. Mi hanno dato la borsa di studio per fare ricerca a Berlino. Al mese non è molto, ma è quanto basta per andare via .
Via da qui. Via da te.
Stè... ti prego... salvati....
Tua
Roberta

22-12-20xx
Robbè no. Nonononono.
Torna. Tornatornatornatorna. Stringimi ancora. Stringimi per sempre.
Voglio stringerti per sempre.
Dove siamo ADESSO?
TORNA.


25-12-20xx
All'attenzione del sig. Stefano Bianconi
dall'Avv. Ingravallo, legale della famiglia Bastreghi

Con la presente si comunica quanto segue:
La famiglia Bastreghi tutta ha già patito molto a causa della prematura scomparsa della sig.na Roberta Bastreghi avvenuta in Dicembre dello scorso anno.
Sebbene i giudici Le abbiano comminato una pena detentiva pari ad anni ventuno per il reato commesso (non esprimo opinioni a riguardo soltanto per non contravvenire all'articolo n.48 del codice forense), La invito formalmente a non tormentare ulteriormente la suddetta famiglia con missive indirizzate alla scomparsa.
Viceversa sarà interesse della famiglia Bastreghi tutelarsi giuridicamente.
Distinti saluti
Avv. Francesco Ingravallo



APPENDICE

Indice delle date e titoli
Roberta - 07/04/2009 - Quadrifogli
Stefano - 27/04/2010 - Giradischi
Roberta - 01/07/2009 - Fisica
Stefano - 09/07/2010 - Rabbia
Roberta - 11/010/2009 - Mi ricordo
Stefano - 16/010/2010 - Nuova vita
Roberta - 20/05/2009 - Addio
Stefano - 22/12/2010 - Torna
Avv.Ingravallo - 25/05/2010 - Diffida formale


2 commenti:

  1. oh, omo de sabbia... ci tengo a sottolineare che la Dacia non è la mia eh!!! :-D

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    1. molto bello.... il finale arriva inaspettato e sconvolgente (parafrasando: me l'hai fatta prenne a male) ;-)

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