sabato 31 marzo 2012

Diario di un emigrante III


L'altro giorno ho avuto una (solita) discussione con una mia amica.
Mi lamentavo del fatto che qui, in Giappone, non riesco ancora a fare il lavoro che facevo da anni in Italia, mentre lei riesce a farlo (lo stesso mio), sebbene, prima di arrivare qui, non ne avesse esperienza.
Si è un pò arrabbiata.
Mi ha spiegato che anche lei, prima di arrivare ad avere una vita accettabilmente gratificante e serena, ci ha messo del tempo. E quindi dovrei ritenermi fortunato, perché ho la possibilità di studiare la lingua a scuola, e benché faccia il cameriere, ho trovato subito lavoro grazie alle persone che mi hanno aiutato.
Le sue parole mi stanno facendo riflettere.
Vivere qui è come ripartire dal Via del Monopoli, bisogna rifarsi tutto il giro daccapo.
E' come tornare bambini.
Da bambini si impara a parlare, ad esprimere a parole le emozioni che coviamo dentro e che non ci sappiamo spiegare. Allora pian piano, mentre il nostro lessico aumenta, cerchiamo di esporre le nostre emozioni agli altri, con la speranza di capirle meglio anche noi.
Amore, paura, felicità, noia, rabbia. A volte, quando non riuscivo ad esprimere questi stati d'animo in giapponese, mi sentivo un deficiente. Sapevo cosa volevano dire, ma non riuscivo a farmi capire; era come non provare niente. Come essere un neonato che ha sete, ma riesce a dire solo «bumba, bumba, bumbaaa».
Non è solo una questione di lingua. Anche le amicizie, le esperienze, la cultura, in qualche modo si resettano.
Anche solo andare a farsi una birra con gli amici può essere difficile.
Perché gli amici sono a 20.000 km di distanza, e bisognerebbe farsene di nuovi.
Ed è tre volte difficile, perché è già arduo trovare nel proprio paese qualcuno che si ama, e si stima al punto tale da chiamarlo amico. Inoltre ci vuole tempo; a volte credo non basti tutta la vita. E bisognerebbe capirsi bene, anche al di là dell'abilità e dell'uso linguistico, culturalmente intendo.
A volte è difficile vivere lontano, non impossibile, ma difficile.
Tutti noi siamo qualcosa per qualcuno. Un punto di riferimento, un amore, qualcuno da odiare.
Esistiamo e semplicemente, in qualche modo, anno dopo anno, troviamo il nostro posto nel mondo. Che ci piaccia o no.
Distanti da casa, stranieri in terra straniera, tutto questo sparisce.
Va cercato dal principio. Plasmato ed imparato come se non ci fosse mai stato un passato.
Come qualcuno appena venuto al mondo, che improvvisamente prova le emozioni e le esigenze di un adulto.
Forse era questo che intendeva la mia amica.

Porta (in questa foto, le scale) itineris dicitur, longissima esse
NdMe. Le lunghissime scale, da togliere il fiato, a Kamakura.

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