sabato 14 aprile 2012

Diario di un emigrante IV


E' un pò di tempo che non aggiorno. A parte che questo blog non lo commenta nessuno, non avevo novità o pensieri importanti da voler condividere. Non so agli altri migranti come andava dopo quattro mesi all'estero (e mi farebbe piacere saperlo), ma per il momento la vita si è piutosto «assestata». Uso l'avverbio perché naturalmente accade sempre qualcosa di nuovo, tutti i giorni, ma niente di memorabile. Che poi magari il problema, un problema, è proprio questo. Abituarsi all'immemorabile; a una vita, per quanto caduca e precaria, normale.
Fare propria la frase iniziale di Trainspotting
«Scegliete la vita. Scegliete un lavoro. Scegliete una carriera. Scegliete una famiglia. Scegliete un cazzo di televisore gigante. Scegliete lavatrici, automobili, lettori cd e apriscatole elettrici. Scegliete il fai-da-te e di chiedervi chi cazzo siete la domenica mattina. Scegliete di sedervi su un divano, a spappolarvi il cervello, e a distruggervi lo spirito davanti a un telequiz.
E alla fine scegliete di marcire.
Di tirare le cuoia in un ospizio schifoso, appena un motivo di imbarazzo per gli stronzetti viziati ed egoisti che avete figliato per rimpiazzarvi.
Scegliete il futuro.
Scegliete la vita.»

Che tutti abbiamo schifato dall'alto dei nostri diciotto anni.
Eppure Lucio Dalla lo cantava che «l'impresa eccezionale è essere normale».
Non proprio rassegnarsi, piuttosto «rassenerarsi» che se non diventeremo tutti attori, registi, scrittori, non siamo necessariamente dei falliti.
In fondo abitare, vivere all'estero, è già di per se, qualcosa di non comune.
Ogni tanto l'umore vaga fra il triste e l'incazzato, perché è difficile stabilire contatti sociali seri (a meno che uno non voglia scopare e basta, che qui è facile. Ma non è mai stata la mia risposta).
Fra poco la mia migliore amica tornerà in Italia, saranno cazzi amari per me.
Al nuovo lavoro mi trattano benissimo, mi prendono un pò per il culo perché parlo giapponese come un montanaro, ma sono italiano e carino, e questo ai clienti basta.
Mi cucinano tutti i giorni una pasta diversa: è un pò diverso dall'italiano dove lavoravo prima,  che mi metteva la carne di nascosto solo perché doveva dimostare di comandare (bambino!).
Per il resto, noi italiani qui siamo uno stereotipo. Proprio oggi ho parlato con un vecchio giapponese razzista ubriaco. Mi ha detto che l'Italia è piena de monnezza e le strade sono strette, mentre il Giappone è un paese coi controcazzi; mi sono un pò risentito.
Gli ho risposto che se Napoli (senza offesa per nessuno) è così, non vuol dire che tutta l'Italia lo sia.
Di stereotipi ci viviamo tutti. E' una delle forze motrici del mondo.
I rumeni rubano, i negri c'hanno il cazzo grosso, gli americani sono obesi e stupidi, gli italiani pizza e mafia.
E' sbagliato, però è rassicurante.
Pensare di sapere come sono fatti gli altri ci da l'illusione di conoscere noi stessi.
Voglio fare il banale: siamo tutti (creati) uguali e tutti (cresciuti) diversi.
Bisognerebbe avere il coraggio di dirselo, ed ogni volta, ripeterselo.
 Ps. Come la vedo io...

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