mercoledì 25 aprile 2012

Un nuovo motivo - Parte II


Secondo capitolo, non tutto però, non l'ho finito. Oggi ho scritto come un matto...

Cap II (un anno prima)

Stefano era al limite della soddisfazione. Così carico di autocompiacimento e soddisfazione di sè, non ricordava di esserlo stato mai.
Uscendo dagli uffici regolari e duri dell'agenzia immobiliare, stringeva ancora in pugno il contratto della sua prima vera casa in affitto, con  tanta forza inconscia da averlo quasi ridotto uno straccio.
Gli parve di percorrere la strada che lo separava dalla vecchia vespa Piaggio azzurra come in un sogno, con l'orizzonte che faceva avanti e indietro, la strada che si contorceva e snodava su sè stessa come il movimento di un serpente. Nel frattempo si ripeteva mentalmente per la milionesima volta la scena: l'agente immobiliare, un ragazzo sui ventinove anni come lui, ben sbarbato e pettinato con i capelli a punta come andava di moda, che gli porgeva il contratto; lui in preda all'emozione che invece di firmare nel modo sofisticato e provato tante volte a casa da solo, fa uno scarabocchio incomprensibile simile a una croce; il rilascio istantaneo delle endorfine, la certezza di una casa in tasca che gli entra in circolo e si mischia al sangue.
Poi la stretta di mano; le chiavi che come un gioco di prestigio ben riuscito, spariscono dalle mani dall'agente e finiscono nelle sue; il sorriso bianchissimo, senza un errore, del ragazzo.
Del dopo si ricordava lui che sale con in sensi ancora appannati in sella, e con gesti automatici toglie il bloccasterzo, allaccia il casco e mette in moto.
La sgasata, il salto dal marciapiede e una macchina, forse rossa, che lo sfiora, con il conducente che gli riversa addosso una quantità di improperi in romano stretto, tali da far straripare il Tevere.
Ancora lui, lui e la strada soli. E lui che vince, perché se la divora.
Tutti fermi in coda, bloccati sulla Tiburtina, e la Vespa che sguiscia, sorpassa, accelera e scivola in mezzo al traffico, ai semafori e alle bestemmie di chi sta facendo tardi a un pranzo di lavoro.
E la risata che gli scoppia improvvisa in mezzo ai clacson, lo smog, e tutte le persone intrappolate nella spirale di macchine ferme.
Arrivò sotto il portone di casa  così veloce che quando frenò per poco non cadde sul brecciolino, e dovette puntarsi con un piede per terra per non perdere l'equilibrio. Ciononostante rideva ancora mostrando i denti, da solo, e sentiva che doveva avere un'intera famiglia di moscerini morti sugli incisivi, ma non gliene importava niente.
Mise male e di fretta il cavalletto, il cinquantino cadde portandosi appresso la bicicletta nuova appena comprata di Nino, il figlio del portiere.
Ma se ne fregò.
Perché tanto lui da quell'appartamento di studenti, di drogati e perditempo, di finti comunisti partigiani, se ne stava per andare. Passò davanti il gabbiotto del del portiere ignorando del tutto gli «Eh!» e «Oh!» che gli rivolse, probabilmente per ricordargli che un condominio o due erano scaduti da qualche mese di troppo. Attraversò rapido il giardinetto di palme malate che lo separava dalla Scala B,, aprì il portone e salì i gradini a due a due fino al terzo piano.
Spalancò la porta di casa e riconobbe subito il profumo di ciambellone al limone mezzo bruciato che preparava la sua ragazza. La cucina era proprio di fronte all'ingresso,  spostata solo di mezzo metro sulla destra, quindi la vide subito con la coda dell'occhio che lavava i piatti della sera prima, ancora in canottiera e calzoncini.
Dal petto gli uscì una voce strozzata, dal tono alto e acuto, come gli veniva sempre quando era emozionato e non riusciva a controllarsi «Amore, amore! Devo dirti una cosa importantissima. Ieri sono stato in banca, e oggi all'agenzia e...»
Lei non gli diede il tempo di finire; lenta ma imprendibile chiuse il rubinetto e si voltò verso di lui. Ebbe solo una frazione di secondo per accorgersi degli occhi arrossati e gonfi che le spiccavano dai contorni delicati del viso. Sembrava una bambola di porcellana dagli occhi verdi che aveva pianto troppo e che era lì lì per andare in frantumi.
«Oggi sei di nuovo uscito senza cellulare», disse, «Verso le dieci e mezza ha chiamato Antonello ed ho risposto. Renzo ha avuto un incidente.»
Di colpo gli mancò il fiato, caddero  e scomparvero tutti i pensieri che aveva accumulato e tenuto stretti a sè nella mezzora di viaggio fino a casa.
In mezzo alla confusione, al ribaltamento mentale che viveva, riuscì a dire solo «Come, dove... Come sta?».
Luna lo guardò con la compassione con cui si guarda un vecchio cane cencioso e abbandonato. Le lacrime tornarono a bagnarle gli occhi, «Verso le nove, con la moto, all'incrocio dei campi sportivi. E' morto».
Stefano cadde in ginocchio in mezzo al corridoio, si strinse la testa fra le mani ed iniziò a singhiozzare e piangere per un tempo che sembrò senza fine.

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