martedì 12 giugno 2012

Un nuovo motivo -Capitolo V (Continuo IV, giusto un po') -

E' un po' che non aggiorno. La vita di Tokyo densa, e gli sforzi per lavorare e studiare, e i giorni da contare, e tempus fugit... che palle! Chi se ne frega.
Ho aggiornato, poco, ma ho aggiornato. Tre paginette.
Mi piacciono tanto. Le vorrei dedicare A Luna. Alla luna. A tutte le lune del mondo.

Anche se la Luna a me non ci pensa nemmeno un po', non importa.
Dalla mia vita in affitto a Tokyo io, penso a Lei, e mi è di ispirazione.
Divertitevi :)


Un Nuovo motivo - Capitolo V (Continuo IV, giusto un pò) -

Anche il Bianco abbozzò un sorriso, poi tornò a guardare Stefano steso sul letto con gli occhi tristi, gli angoli della bocca tesi verso il basso. Non gli riusciva mai di dissimulare la tristezza, e quando qualcosa nella vita provava a buttarlo giù, lui si faceva trascinare fino al massimo grado di apatia e demoralizzazione; di solito erano Renzo o Stefano a farlo uscire dall'apnea invitandolo a per una birra e prendendolo in giro tutto il tempo sui chili che aveva messo, o sulla testa che da quando aveva perso i capelli ed usava una lozione per lucidarla, profumava di noccioline. Luna lanciò un'occhiata rapidissima ad Antonello, questo si limitò a scuotere la testa facendole fare «no-no».
Luna non possedeva una mente fuori dall'ordinario; un'intelligenza normale, come tutti, ma la sua sensibilità era spiccata e le bastava una parola non detta per entrare in empatia con una persona e capire cosa le passasse per la testa.
Le era evidente che il Bianco non si era mai ripreso dalla scomparsa di Renzo, e che l'incidente appena capitato a Stefano doveva aver tracciato ancora più in profondità il solco dei suoi sentimenti malinconici; e capì pure che Antonello aveva fatto il possibile per colmare i vuoti del suo amico, e che aveva fallito ogni volta.
Gli avrebbe voluto dire parole di conforto: era un bravo ragazzo, e per quanto esagerato nelle sue infinite tristezze, sapeva che stava male davvero. Fece per dire qualcosa ma lui la interruppe parlando per primo «... Da quant'è che sta così?»

«Sono arrivata poco prima di voi, il medico con cui ho parlato ha detto che era già in coma quando l'hanno portato in ospedale»
«Non c'è speranza che...»
«Non lo so, non me l'hanno saputo dire, troppo presto per sciogliere la prognosi».
Il Bianco reclinò di nuovo la testa rasata e lucida verso il letto a guardare il suo amico dormire, poi sospirò «E tu da quant'è che stai così? Non ci siamo più sentiti molto da quando... insomma ha sbroccato e se n'è andato»
Lo guardò seria «Che vuoi dire?» disse, anche se in realtà aveva capito fin troppo bene le sue parole.
«Luna, da quant'è che vai in giro così? Voglio dire, da quant'è che fai la matta, l'infermiera prima ci ha raccontato... E sopratutto, perché lo fai...? Tu non sei così, eri la ragazza più normale che conoscessi e adesso... Io non ci capisco più niente. Pare che il mondo, il mio mondo stia impazzendo mentre collassa su se stesso».
Luna gli si avvicinò piano, gli prese le mani grandi e callose da muratore dentro le sue, piccole. «Lorè», non era la prima volta che lo chiamava per nome, ma la gente doveva essere tremendamente seria o arrabbiata con lui per chiamarlo così
«Lorè, lo capisco bene come ti senti, ti conosco. Sei un amico di Stefano e sei un amico mio. Ma forse tu non sai come mi sono sentita io, come è stata la vita per me da quando 'ha sbroccato' come dici tu.
Stefano con gli altri è sempre stato moderato: prendeva le parti bianche e le parti nere delle persone e le impastava fino a renderle grigie; le voleva vedere per come erano veramente, esseri fatti di pregi e di difetti, non tagliati con l'accetta. Però con se stesso non riusciva ad essere così, e se sbagliava qualcosa che sapeva di poter evitare se solo si fosse fidato un po' più di sé, si incazzava e si teneva il muso. Ultimamente gli capitava spesso.
Penso stesse riflettendo molto se quello che era fosse realmente quello che si era immaginato di diventare.
Poi c'è stato Renzo... Ed anche io ho riflettuto a lungo sul perché abbia fatto così... Ha avuto paura. Ha avuto una paura fottuta che la vita che stava vivendo sarebbe stata più forte della vita che avrebbe voluto per lui. Ha scelto la via più facile ed è scappato».
Il Bianco rimase impressionato dall'analisi: impegnato com'era a cullarsi nel pensiero cupo degli effetti della scomparsa, non si era fermato nemmeno un attimo a pensare alle cause. Le domandò, con la stessa voce perplessa di un bambino che non ha ben capito gli avvenimenti di un fatto storico «Ma se avevi capito che tutto è partito da dentro lui, allora perché...»
«Perché mi sono mascherata Lorè?» le esplose forte dallo stomaco.
«Perché comunque con lui ci abitavo io, non stava da solo. Perché il fatto che la mia presenza per lui non sia significata niente mi ha fatto stare male. Mi ha privato ogni giorno di una parte di me che sentivo mia. Mi ha fatto sentire una cretina, mi ha fatto sentire sbagliata. Mi ha fatto sentire non all'altezza, non abbastanza per sollevarlo alto dalle sue paure. E mentre lo maledivo per il suo egoismo cambiavo tutto di me, mi serviva... Avevo bisogno di questa maschera. Mi dovevo proteggere, perché anche se con la testa so darmi tutte le risposte che mi servono, ho paura ad ascoltare quello che vuole darmi il cuore...»
«E quali sarebbero?» singhiozzò piagnucolante il Bianco.
«Che anche se è uno stronzo, so che mi ama ancora. Ed anche io...»



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