mercoledì 16 maggio 2012

Un nuovo motivo -Cap.V (Inizio)-

Dunque... Oggi niente da segnalare. Sono stato al parco di Yoyogi 代々木公園。
Stavo per fatti miei, e intorno c'erano tante altre persone, ognuna con la sua vita, con chissà che sentimenti dentro... E ci godevamo tutti l'aria fresca che ci passava addosso, senza stare a pensare al dopo, o da dove parte il vento, o stronzate così...


Ho iniziato il V capitolo, procedo, ma lento. Quando mi metto d'impegno una pagina a ora, senza contare che poi la devo riscrivere al pc e poi rileggerla qualche volta. Però per il momento mi viene naturale. Anzi, mi sono proprio divertito :D Forse oggi ho voluto un pò bene a Remo per la prima volta.
E' rischioso perché ci sto spendendo un sacco di tempo. Ma ci credo. O almeno credo di provarci!
Leggete eh (l'altra volta mi ero sbagliato, il tastino per ricevere gli aggiornamenti c'è  solo da ora. E non è proprio un tastino, dovete mettere la vostra mail, ma è sicuro eh! Non è che vi arriva Vanna Marchi a casa, tranquilli :p)


CAPITOLO V (Inizio)


Non si accorse subito di quello che era accaduto, tant'è che continuò a battere colpi forsennati in preda al ritmo folle come niente fosse.
Poi il sangue sgorgò. Fu espulso dalla base del dito con una forza inaudita, sembrava non volesse più stare in quel posto e i globuli rossi che stavano dietro spingevano quelli davanti con tutte le loro energie. Non provava dolore.
Mollò il coltello, senza fare niente guardava tutta la vita che fluiva, schizzava via da lui e andava a finire sull'intreccio di carni martoriate. E queste erano ancora morte, non c'era dubbio, anzi, se possibile fino al momento prima lui le stava uccidendo una seconda volta, togliendogli quel minimo di dignità che gli restava.  Però vedendo la sua essenza solida, ciò che lo faceva respirare e tenere in piedi, posarsi rabbioso e senza controllo su quello che rimaneva della sua coscienza e sui resti di quelli che una volta erano animali fino a coprirli completamente donandogli un aspetto nuovo, lo fece sentire in estasi.
Forse era l'adrenalina, ma si sentiva vicinissimo alla 'verità', ad una comprensione che non sapeva di stare cercando.
I sensi andavano verso l'esterno, fuori da lui, e si stendevano al loro massimo per fondersi con l'ossigeno carico di odori, emozioni, storie passate; centimetro dopo centimetro.
C'erano quasi, c'era quasi, poi finì.
Tornarono dentro riavvolgendosi come un metro a scatto.
Provò un brivido, poi il dolore.
Le ginocchia lo tradirono di colpo e si piegò in due, cercò di mantenersi eretto appoggiando una mano al tavolo, ma era troppo scivoloso per via del sangue, la presa gli mancò e cadde di fianco sul pavimento sbattendo la tempia sinistra.
Adesso guardava la scena con una visuale obliqua, con la guancia in contatto col pavimento e gli occhi che si stavano per chiudere, fissi sulle gocce di sangue che gli scendevano sopra una dopo l'altra. La percezione era confusa, sbiadita, ma sapeva che se non si fosse tirato su in quel preciso momento non l'avrebbe più fatto. Si morse il labbro inferiore con gli incisivi fino a farsi male, cercava di non pensare al dolore alla mano e alle energie che lo stavano abbandonando.
Fece leva con la mano sinistra (quella sana) sul pavimento, e con un colpo di reni riuscì a mettersi seduto. Aveva il fiato corto e non contava di riuscire a rialzarsi. La testa gli diceva di rimanere così, fermo, inerte, che questa era la sua fine, che l'aveva scelta ed ora doveva solo starla ad aspettare. In fondo la sua era un'esistenza miserabile, non aveva combinato niente di buono, solo fughe da letti la mattina, raggiri, rapporti consumati con la fretta di dimenticare, compreso quello col padre.
Respirava sempre più piano, affannato come dopo una corsa lunga quarant'anni; le voci nella testa stavano pian piano battendo l'istinto di sopravvivenza.
Chiuse un occhio, lo faceva sempre prima di dormire: ne chiudeva prima uno e poi attendeva che l'altro lo seguisse di sua iniziativa, aveva da sempre paura del buio che arrivava quando li chiudeva assieme. L'altro era già a metà palpebra quando, per caso, si posò sull'orologio che teneva al polso; un'abitudine troppo radicata... Le otto e venti, dieci minuti e... «Dieci minuti e Maria arriva... Dieci minuti... Maria... Aò... Maria... Cazzo, Maria!»
Un raggio di lucidità tornò ad illuminarlo.
«Maria, Maria! A quella je se pja un colpo se non me vede. Almeno la devo avvertì che sto a morì!».
Tornarono anche le forze, poche e deboli, ma forse gli sarebbero bastate per trascinarsi fino in strada.
S'alzò. Stette ad aspettare di cadere di nuovo. Non cadde. Anzi. Si mise a correre verso l'uscita, non avrebbe mollato. Si rendeva conto che fino a quel momento la sua vita era uno schifo, peggio della mediocrità, ma voleva rimanere acceso finché l'avrebbe deciso lui.
Prima di varcare la soglia come una furia, scorse Maria che stava con la bocca aperta avvolta nello scialle nero, mentre lo guardava avvicinarsi spruzzando sangue ovunque. Senza smettere di correre disse «Sora Marì, io chiudo, addio. La carne andatela a comprà da Gigi, è più bona. Ve vojo bene, un abbraccio a Pallino, er Molla e tutta la truppa».
Adesso stava fuori. E il sole tornava a bruciare su di lui; era meno minaccioso. La botta d'adrenalina era scemata, si ritrovò in mezzo ad un incrocio della Prenestina, con le macchine che gli sfrecciavano ai lati e 'gli facevano il pelo', nemmeno se ne era reso conto.
Le persone dai marciapiedi lo indicavano, le signore si mettevano una mano davanti la bocca per lo sgomento e l'altra sugli occhi dei bambini per pietà.
Gli venne un pensiero stupido «Il mio momento di celebrità, il momento che Remo il macellaio muore in mezzo alla Prenestina senza un dito schiacciato da una macchina. Finirò sui giornali. La mia fine del mondo scritta su misura».
Poi una Fiat Panda, di quelle vecchissime, gli parve guidata da una ragazza magra coi capelli lunghi e neri, un viso Cleopatra, verso di lui senza possibilità si scansarsi, o di frenare lei.
Chiuse gli occhi, stavolta insieme.
Si senti spostato di peso, con violenza metallica, udì un botto frastornante.
Quando li riaprì era riverso sull'asfalto, vide delle piume bianche sospese nell'aria... Che fosse morto?
Ma le piume che c'entravano? Ammesso che il paradiso esistesse, non era posto per lui.
Senza volerlo gli si chiuse un occhio, e l'altro a seguire come al solito. 
Troppo pesanti.
Prima di svenire gli sembrò di vedere Cleopatra che urlando «Oddio Oddio» scendeva dal pandino, una gabbietta per uccelli rotta, una vespetta distrutta a qualche metro dalla macchina e un ragazzo che sorrideva steso dove doveva trovarsi lui, pure lui con gli occhi semi chiusi che lo fissavano. Credette di vedere pure una gallina che stava serena, impassibile in mezzo al traffico.
Ma era troppo assurdo. Buio.

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