sabato 5 maggio 2012

Un nuovo motivo - Capitolo III (inizio)

Ho scritto un altro pò. Scrivo sempre, a piccoli passi.
Torna Remo e si rivela il suo presagio.
E' difficile scrivere, è difficile perché è quello che vorrei fare davvero, ma noi cerchiamo sempre di andarci contro in tutti i modi.
Però, anche se Peppe dice che non dovrei dirlo, penso che me la cavo, e vorrei finirlo prima o poi.
Spero che voi vi divertiate a leggerlo, e che magari sia anche un piccolo incoraggiamento per seguire la vostra, di strada.
Quando leggo che qualcuno posta su Facebook (anche se mi sta aiutando a farmi conoscere) solo e soltanto vignette e roba presa da altri siti, mi dispiace sempre un pò. Ogni tanto va bene, ma va bene usare anche le nostre, di parole. Non c'è da aver paura di nessuno se non di noi stessi... :)


Cap. III

Gli sembrava che l'aria si fosse fatta immobile e pesante, impedendogli qualsiasi movimento come un gabbia che aderisce alla pelle.
Mentre guardava la serranda abbassata, si sentiva in trappola come un'animale allo zoo, senza via d'uscita. Non sapeva nemmeno se fosse accaduto 'realmente' qualcosa «Forse sono solo io che voglio sentirmi così» pensò,  ma la paura era così profonda e irragionata, che paradossalmente non poteva essersela creata da solo nella testa, e lo sapeva.
Estrasse una sigaretta dalla tasca e l'accese facendo saltare il coperchio dello zippo con l'indice e il medio, con la stizza e la sfida che aveva a diciotto anni, quando si sentiva unico e importante.
In cuor  suo però sperava che la sigaretta non finisse, e che quel momento di attesa si potesse protrarre all'infinito.
Invece questa ad ogni tiro s'accorciava, gli bruciava fra le dita e consumava il tempo. Un minuto. Due. Cinque. Le sette e trentasette ed era finita.
Fra poco meno di un'ora la Sora Maria sarebbe stata la sua prima cliente.
Mezzo chilo di macinato grasso per i gatti.
Remo glielo faceva trovare già incartato, ma lei si fermava comunque a parlare venti minuti buoni, raccontandogli cose che ormai aveva imparato a memoria.
Il marito tramviere morto trent'anni prima; quel giovane carabiniere, così bello, che le faceva il filo quando faceva la donna di servizio da ragazzina e che poteva essere l'amore della sua vita; i figli che aveva voluto far studiare a tutti i costi e che ora anche a Natale litigavano per decidere chi l'avrebbe dovuta ospitare.
E poi i gatti, che se pure andavano in calore e giravano quel poco di campagna tossica che rimane a Roma a cercar fortuna, tornavano sempre da lei per l'ora di cena: Pallino, Molla, Carota; gli stessi nomi degli amici di borgata che aveva da ragazza, anche lui ne conosceva qualcuno con il soprannome uguale.
Remo più che altro la guardava ed annuiva, «C'ha ragione a lamentarsi Sora Marì. I genitori danno tutto ai figli, questi se lo prendono pensando sia dovuto, e non ridanno niente. Apposta io non li voglio».
Però, quando gli porgeva il pacchetto da dietro il bancone, e sorridendo con una smorfia così maestosa e falsa che nemmeno il miglior attore da cinepattone, diceva «Torni presto eh. Che se non la vedo, oltre ai gatti me preoccupo pur'io», s'interrogava anche lui su che tipo di rapporto avesse avuto col padre prima che morisse. Ma tanto poi arrivava qualche cliente, c'era da tagliare la carne o rifare lo stock; quindi smetteva di pensarci fino a quando non l'avrebbe rivista il giorno dopo.
Forse anche per questo, se davvero, da un momento all'altro fosse scomparsa, un pò gli sarebbe dispiaciuto.
Pensava alla vecchietta, al papà, ai gatti e ai figli che a quarantatre anni non aveva, all'egoismo della sua solitudine; e intanto stava tirando su la saracinesca senza rendersene conto. 
Poi questa d'improvviso era aperta, e la barriera, il sottile velo che separava l'interno del negozio da quello che c'era fuori, si strappò in un sol colpo.
Il sole la invase, la illuminò da angolo ad angolo senza chiedere permesso.
Vacillò. Per poco non cadde sulle ginocchia.
Un odore, una puzza piena di dolore e di tristezza gli esplose nelle narici.
Poi si spinse fino allo stomaco, si mescolò al caffè e al fumo di sigaretta, facendolo vomitare senza dargli il tempo di trattenersi, sul tappetino con la scritta 'Benvenuti'.
Forse si era guastata la cella frigorifera, un black out, o un topo era andato a morire carbonizzato tra i fili dell'impianto elettrico.
Ma nel fine settimana la carne era andata TUTTA a male, non c'era modo di sbagliarsi.

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