lunedì 14 maggio 2012

Un nuovo motivo - Capitolo IV (CONCLUSIONE)

Sono giorni normali. Prendo quello che mi arriva e non cerco altro. Anche un pò felici, a volte. Per esempio quando qualche volta parlo giapponese senza pensarci e mi viene naturale, quando scrivo, quando sto con gli amici. Quello che non ho mi manca. Ma ora va davvero bene questa serenità semplice, prima devo finire quello che ho iniziato, sennò mi perdo e lo so.


A proposito. Un mese di libro e il blog, anche se non è commentato, ha superato le 500 visualizzazioni. Complimenti a noi tutti :)
Ah, su Facebook a volte la notifica del blog si perde, quando lo visitate, se volete, c'è il tastino per 'abbonarvi' (non costa niente eh :p), così vi arriva la mail rompicoglioni per comunicarvi che sono andato avanti.


Avanti ci sono andato. Ho finito il capitolo IV, Stefano saluta. Ma salutaper davvero. Poi il prossimo una bella rivoluzione, finisce e inizia tutto.
Spero vi divertiate a leggere :)


CAP IV-CONCLUSIONE-


La chiave girò nella serratura. Luna lo guardò accovacciato a terra a gridare, in mezzo alla cucina macchiata di caffè.
Si mosse senza parlare, mettendosi seduta accanto a lui che si nascondeva il viso fra le mani. Lo abbracciò leggera, rimasero così per un tempo che nemmeno lei riusciva a quantificare, gli carezzava i capelli sporchi e baciava le lacrime che gli sfuggivano dagli occhi e gli rigavano le guance.
Poi Stefano parlò a voce bassa, senza alzare le mani dalla faccia «Per me Renzo contava. Come te, come la vita che abbiamo. Era uno dei miei posti di sole. La telefonata spensierata di due minuti. Era qualcosa che c'era, che vedevo, che mi era amica. Basta cene accostati uno all'altro in corridoio, basta corse in mezzo al traffico per un caffè ed una presa in giro, basta tutto. E' finito il tempo, Lù. E' finito e nessuno mi aveva avvertito che sarebbe passato all'improvviso senza tornare.
Vorrei strapparmi i vestiti, i capelli, la pelle e tutta l'anima ed urlare fino a stare male. Ma non cambierebbe niente. Non so che fare».
Luna gli strinse forte le mani. Lei l'amore non lo sapeva spiegare nemmeno a sé stessa, però sapeva che c'era, che  le abitava dentro e che fra loro circolava. Non era brava a consolarlo, e la colpa era di Stefano: quando voleva stare male non ascoltava nessuno. Si aggrappò con tutta la sua forza ai sentimenti che aveva, gli chiese di superare i propri limiti; sentiva che era una cosa più grande di lei, ed era terrorizzata che tutto l'amore che gli girava attorno non bastasse e che si spegnesse come si stava spegnendo Stefano
«Amore... Non ci sono parole, non potrai mai trovare una consolazione, un motivo, per quello che è successo. Ma passeremo anche questo, te lo prometto. Ti sarò vicina sempre. Il tuo dolore non lo posso capire, ma capisco te. Ne usciremo insieme. E se cadrai mentre cerchi di rialzarti da questo colpo che t'ha portato via un pezzo, io cadrò con te, seguirò ogni tuo passo» 
Stefano sentì che il cuore si allontanava dal centro del corpo, che non era più con lui ed andava a perdersi da qualche parte distante del mondo.
«Lù, non ce la faccio. Non accetto che doveva andare così, senza una ragione. Mi sento svuotato, m''hanno portato via una cosa vitale che avevo messo via col tempo, accumulato anno dopo anno. Non può finire così, non deve! Non deve andare che adesso piango e mi ubriaco e facciamo l'amore e soffro e urlo e tiro pugni al vento, mi dimeno contro il destino infame e poi di nuovo come prima.
Perché lo so, e lo sai pure tu che fra un mese, un anno, abiteremo a casa nostra, con il lavoro, i film su internet, la pizza il sabato e dopo da Antonello. E dimenticheremo Renzo e questa disperazione facendo finta che non sia successo niente perché è così che va la vita»
Luna trattenne le lacrime, sapeva che doveva essere più forte di lui questa volta, altrimenti il loro cielo mezzo pieno gli sarebbe crollato sulla testa, ma le labbra le tremavano 
«Amore... ti prego... faremo tutto quello che c'è da fare, ma cerca di scuoterti. Hai ragione tu, la vita è questa, non la possiamo capire sempre. A volte dobbiamo solo aspettare e starla a guardare, anche quando fa male».
Stefano si tolse le mani dal volto, scoprì gli occhi e Luna perse il filo dei pensieri, fu risucchiata dal vuoto che sprigionavano. Le pareti di casa, la cucina strettissima dove stavano accoccolati si rimpicciolì, si strinse su di loro, e poi scomparve. E con lei le partite a scacchi a notte fonda; i concerti dei primi tempi, quando non avevano i soldi per i biglietti e scavalcavano ogni recinto; i post-it romantici la mattina, le carezze, le canzoni ed i disegni scritti sui muri della loro doppia con i colori a tempera.
Stefano concentrò il respiro, le parole si fecero attendere dei secondi lunghissimi prima di venire fuori «Io vado via».
Luna, sorprendendosi, rimase impassibile «E dove?»
«Non so. Però vado a cercare un senso a tutto questo. Credevo fosse qui, ma mi sbagliavo. Mi dicevo che andava bene, che quello che avevo mi bastava. Che tu il lavoro e gli amici eravate ciò di cui avevo bisogno, invece non è così. Mi sono preso in giro sin dall'inizio senza rendermene conto».
La risposta di Luna stavolta fu meno sicura, la voce usciva e si bloccava subito dopo.
«Amore... Stè, ti prego smettila. Tu parli così solo perché ora stai male... Non durerà per sempre, lo sai che è così... lo è per tutti...»
Le rispose in modo così freddo che ne fu spaventata, e non riuscì a non piangere. Non era abituata a quella parte di Stefano. Il suo ragazzo era emotivo, cazzone, serio, amichevole, odioso quando gli riusciva qualcosa di buono e se lo tirava per giorni. Freddo, inespressivo, mai.
«No Luna. Ci ho pensato tutto ieri e stamattina. Credo che Renzo se ne sia andato incazzato per le cose che voleva ancora fare e non potrà, però felice. Lui si, si è sempre ascoltato. Sai, la sera che ci siamo conosciuti mi ha rotto per ore: voleva farsi un giro sulla vespa, se ne era innamorato. Alla fine ho ceduto, alla prima curva scivola e mi rifà la fiancata... Quanto ha riso... Io ero nero, ma alla fine la sua risata m'ha contagiato... Da quando lo conosco non l'ho mai visto inseguire qualcosa che non desiderasse per davvero. Dalle cose semplici come un giro in vespa a quelle difficile come il mutuo con la ragazza. 
Le mie cose, invece, non sono volute, sono 'capitate'. E io me le faccio andare bene. Però penso che ci sia dell'altro da trovare, solo che il mio 'altro' è diverso da quello di Renzo. Lo voglio cercare prima di non tornare indietro pure io.»
Le emozioni di Luna scattarono all'unisono. Era una ragazza tranquilla, serena, con tanta voglia di amore, di darlo e riceverlo; le piaceva vivere così, semplicemente, ed era pura nel farlo. Quando però le accadeva qualcosa di inaspettato, che non prevedeva e non capiva perché dovesse andare ad intaccare le sue risposte chiare e semplici alle domande complicate della vita, provava un getto improvviso di adrenalina, balzava come un gatto. Si arrabbiava e passava all'attacco, difendeva con le unghie io suo territorio, ciò che per lei era importante.
«OHHHH! Ma che cazzo! Ti sei impazzito? Dove cazzo vuoi andare all'improvviso? Vuoi tornare in te? Morire è la cosa più NORMALE della vita. E tu adesso, per la normalità, molli tutto? Molli me? Ci siamo fatti in quattro per arrivare fino a qui, e adesso stop, chiuso, finito perché decidi che hai lo scazzo universale? Non funziona così, per niente!!! M'hai capito?!? E guardami cazzo!»
Era rossa in viso, lacrime e fiato corto.
«No. Sbagli. Mi sono rotto di vivere così. Di fare due lavori per arrivare a fine mese coi centesimi contati, di abbassare la testa coi prof. quando discriminano gli alunni migranti, di strisciare e leccare solo per aspettare un momento giusto che non arriva mai e lentamente perdermi dentro, fondermi con l'ordine delle cose, con le routine, fino a svegliarmi una mattina e non ricordarmi come diavolo mi chiamo io. SE sono ancora io o solo uno che è diventato parte dell'ingranaggio immobile e perfetto di sta cazzo di società dell'apparenza. Perché ti giuro, se continuo a dire 'si' alle cose che non mi piacciono, alle quali dovrei dire 'no' secco e inviarli tutti a cagare dicendogli quello che penso, alla fine mi convincerò che la risposta giusta è la loro, e che sorridere ipocrita e non fare niente di fronte alle cose ingiuste che ci passano davanti, sia davvero la cosa migliore. Qui non si tratta di morire all'improvviso, sono io che lentamente lo sto facendo da solo»
Poi furono botta e risposta velocissimi. Senza pensarci. Senza pensarsi.
«Basta basta basta! Parli come i ragazzini ai quali fai lezione, dovrebbe essere il contrario! Perché non ti basta quello che c'è adesso? Quello che puoi sentire, toccare, vedere; perché non ti basto io? Il senso è qui, dentro noi, non fuori!»
«Il tuo Luna, solo il tuo! Il tuo è questo e lo so! Tu ti guardavi allo specchio da bambina, e da grande ti vedevi così! Io no! Non così, non venduto per un pezzo di pane, così normalmente infelice come tutti gli altri!»
Le emozioni di tutti e due stavano facendosi sentire così forti da fargli girare la testa. A lei un pò di più.
«Che vuoi fare Stè? Che vuoi diventare? Dimmelo, lo facciamo insieme, come sempre, INSIEME»
Non gridavano più.
«No. Basta. Tu lo sai quello che vuoi fare. Sei perfetta. Tieniti stretta. Io vado a cercare quello che tu già sai. Se esiste anche per me non lo so, ma se nemmeno ci provo...»
Non finì la frase. Si mise i jeans sporchi, prese le chiavi della vespa e uscì di casa. Pareva stesse andando a fare la spesa come quando dopo aver fatto l'amore gli veniva fame. Invece se ne stava andando.
Luna perse tutte le parole e le energie per due minuti, centoventi secondi esatti. Poi il gatto in lei si svegliò di nuovo e gli corse dietro senza chiudere la porta. Centoventi secondi di troppo. Fece solo in tempo a vedere la vespa che si allontanava, la maglia con la scritta 'Don't look back in anger' e il portiere che gli correva dietro sgangherato con i cedolini dei condomini non pagati in mano.

Nessun commento:

Posta un commento